STEFANO BENNI La casa bella

[Da L’ultima lacrima, 1994]

Vivevo nella valle più bella, e la mia era la casa più bella, tutta impellicciata d’edera, in mezzo al bosco di castagni più bello del mondo. Avevamo il gallo più bello della zona, sembrava un leone dipinto, e quando la mattina cantava spaccava i sogni col martello.

Avevamo un pollaio con galline niente affatto stupide che facevano le uova migliori della zona e mucche dagli occhi dolci come Odalische, e maiali così grossi e rosei che veniva voglia di cavalcarli. Tutto intorno avevamo vigne, alberi da frutto e un orto dove l’insalata brillava come smeraldo e le carote sbucavano dal suolo spontaneamente, con una capriola. Il forno dove cuocevamo il pane spargeva un odore che metteva di buon umore tutta la valle e fermava i coltelli degli assassini, non c’erano piccoli o grandi delitti, nella valle, finché durava quell’odore. E infine le nostre castagne erano bellissime, e quando i ricci cadevano e rimbalzavano al suolo e ne uscivano i frutti, lucidi come perle, veniva voglia di dire all’albero: bravo!

Anche i funghi erano sexy, gli scoiattoli avevano code superbe, le talpe scavavano tane di geometrica precisione, gli alveari delle nostre api erano cattedrali. il miele era squisito, e anche mio padre era bello, aveva una faccia come la corteccia del castagno, i baffi a coda di volpe e mi picchiava solo nei giorni festivi. Fumava una pipa bellissima, fatta da lui in puro pero kaiser, riproducente un nudo della mamma, che era stata la donna più bella della valle e aveva atto una bellissima morte,. era scivolata in granaio ed era annegata nelle mele rosse, in un mare di mele profumate.

Vivevo come già detto nella valle più bella, e la mia era la casa più bella e qui comincia il brutto. Perché passarono dei signori e vedendo quanto era bella, dissero: questo è proprio il posto che cerchiamo, fecero fotografie, presero misure e dopo una settimana comprarono valle, terreno, casa. animali e vegetali. Perché gli serviva per fare pubblicità a non so cosa, un’assicurazione sula vita forse o biscotti o un candidato o acqua minerale, qualcosa che aveva bisogno di uno scenario come quello.

E misero macchine da ripresa dappertutto, e vollero rendere tutto ancora più bello. Pettinarono il gallo, dei soli artificiali, misero dei campanacci d’argento alle mucche e una scritta “forno” sul forno, come se non si capisse.

E noi? Noi non eravamo abbastanza belli, infatti al nostro posto misero degli attori. Mio papà lo faceva un attore abbronzato con delle mani che non dico non aveva mai provato a zappare, ma neanche a lavarsele da solo. Mia mamma la faceva una ragazzona tutta curve alla quale avevano detto di camminare sempre con un filo di paglia in bocca e di chiamare le galline “vieni Nerina vieni Bianchina” che le galline scappavano come se fosse una faina travestita. Io invece, dissero, potevo andare bene, ero abbastanza bello, mi misero solo degli zoccoli che dio bono, avete mai provato ad andare sui sassi con gli zoccolii ma i signori dissero che, per quelli che mi avrebbero visto in televisione, era bello.

Allora mio papà si mise a piangere perché lo volevano mandare via. Voleva fare qualcosa anche lui. Fu fortunato: avevano messo uno spaventapasseri nuovo in mezzo al campo (lo aveva disegnato un famoso sarto). Aveva una camicia a scacchi e dei pantaloni azzurri appena un po’ stracciati e un cappello di paglia, sfrangiato ad arte. Ma era cosi bello e così poco spaventevole che i passeri scendevano giù a guardarlo, e invece mio padre, vestito com’era, andava benissimo per spaventare i passeri, e così fece lo spaventapasseri dello spaventapasseri: c’era lo spaventapasseri firmato in mezzo al campo, ma quello che teneva lontano i passeri era mio padre dieci metri più in là.

Io dovevo lucidare le mele sugli alberi e convincere le mucche a non farne troppa e tenere buoni i maiali quando li truccavano col cerone rosa perché si rotolavano nel fango e non era bello mostrare dei maiali troppo maiali, e inoltre dovevano far star zitto il gallo perché tutti dormivano fino alle nove e mezzo.

Ma una notte, che c’era una gran luna vera, e i grilli cantavano, e le mucche muggivano perché nessuno le mungeva, e mio padre stava là immobile nel campo fumando la pipa, io vidi la mia casa circondata da tutti quei fari e quelle macchine da presa e vidi due col fucile che andavano a caccia delle civette perché disturbavano, e uno che stava mettendo una luce finta dentro il forno del pane, e arrivò una macchina blu e scese un uomo e appena lo vidi in faccia capii che casa mia non sarebbe più stata il più bel posto del paese.

Raccolsi le mie poche robe, salutai mio padre che mi diede la sua benedizione, salutai il gallo che se ne stava triste in un angolo, con le piume cotonate. chiusi gli occhi e mi misi a correre alla cieca, giù per la cavedagna, seguendo gli odori, finché giunsi all’albero di melograno là dove passava la corriera di mezzanotte.

Beato te, che vivi in un dormitorio di periferia o in un vicolo fatiscente, o all’incrocio delle vie più traffcate della città, perché la tua casa non ti verrà mai rubata.

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