About Me

Sono nato a Firenze l’8 giugno 1967;
mi sono diplomato presso il Liceo Classico “Niccolò Machiavelli” di Firenze, con la votazione di 58/60 (questo è stato uno dei motivi per cui ho chiamato mio figlio Niccolò e non, per esempio, Nicolò);
nel 1994 ho conseguito la laurea in Lettere, con la votazione di 110/110 e lode, presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università “La Sapienza” di Roma, discutendo la tesi in Storia contemporanea (argomento: la speculazione edilizia a Roma durante gli anni cinquanta);
nel 1999 ho ottenuto, con la votazione di 68/70, il diploma di Bibliotecario presso la Scuola Speciale per Archivisti e Bibliotecari di Roma con una tesi sulla diffusione dell’editoria multimediale in Italia. Maltrattato dalla relatrice (“il lavoro è un po’ stringato”) e dalla correlatrice (che non l’ha neppure letta), l’ho pubblicata per dispetto su internet con relativi credits. Siccome non avevo ancora una mia pagina, ho accolto di buon grado l’ospitalità del Rospo. La – ingiustamente – maltrattata tesi si può leggere ora anche su questa pagina web. Le profezie in essa contenute riguardo alla multimedialità si sono avverate in modo plateale: non solo i CD-Rom sono stati svenduti nelle edicole come gadget di settimanali a grande tiratura (compreso il tanto celebrato Encyclomedia firmato da Umberto Eco), ma hanno cessato ora anche di assolvere a questa funzione parzialmente popolare. E ho smesso da tempo di ricevere lettere di persone interessate alla materia;
nel 1995, clamorosamente sottopagato, ho realizzato per lo studio bibliografico “Le camere del Sud” un catalogo commerciale dal titolo Rosso. Gli archivi della clandestinità, contenente materiali sull’antifascismo e la Resistenza, che ha permesso al suo committente di fare un sacco di quattrini; nello stesso anno ho collaborato, in modo del tutto volontario, alla realizzazione dell’inventario e del catalogo elettronico del Cda-Libreria Anomalia – via dei Campani 71-73 – Roma. La A di Cda è una A cerchiata. Il catalogo si trova ora sulla relativa pagina web (non esiste più);
dal 1995 al 1999 ho collaborato con Donzelli Editore per il quale, oltre a svolgere l’attività costante di correttore di bozze e revisore di testi (senza motorino), ho compilato numerosi indici dei nomi e/o analitici, specie di sabato e domenica. Sia pure con un po’ di ritardo, sono stato pagato per questi servizi in maniera adeguata;
nella primavera del 1998 ho curato, presso l’IMES, la redazione e l’impaginazione del numero 14 della rivista “Parolechiave”. Se qualcuno dovesse trovarsela in mano, per favore, eviti di guardare l’indice all’inizio del volume;
collaboravo occasionalmente anche con altri editori (Raffaello Cortina, Atlantide editoriale, Editori Riuniti, Fandango) per conto terzi (services editoriali) e altri soggetti (cattedre universitarie) con consulenze di vario tipo inerenti alla preparazione bibliografica, redazionale e tipografica dei testi; in tale contesto ho realizzato l’indice dei nomi del volume curato da M.A. Visceglia e G. Signorotto La corte di Roma nel Cinque e Seicento, pubblicato da Bulzoni; nonostante il mio lavoro in questo campo sia stato sempre apprezzato non ho tratto da queste attività quasi nessuna gratificazione, meno che mai dal punto di vista umano;
intanto, dall’as 1994-1995, anno in cui sono state pubblicate le ultime graduatorie provinciali “per incarichi e supplenze” mi sono fatto i canonici viaggetti per consegnare le domande alle 30 scuole: il 24 giugno del 1998 ho messo piede in una scuola con una nomina in mano;
il 21 novembre del 2000 ho cominciato, costretto da circostanze che racconto in qualcuna di queste pagine, a frequentare la SSIS per ottenere l’abilitazione nella A051. Il corso si è concluso il 28 maggio del 2002 e mi ha permesso di accedere da sissato alle graduatorie permanenti la mattina dopo;
Il 15 gennaio 2008 sono stato assunto a tempo indeterminato, con nomina giuridica retrodatata al 1° settembre 2007, giorno in cui ero formalmente disoccupato. Fino a quel giorno, che assumo come riferimento della fine [della pacchia] del precariato, ho totalizzato: 7 incarichi a tempo determinato, compreso quello che scade il 30 giugno 2008, più un contratto del preside fino al termine delle attività didattiche poi revocato l’ultimo giorno di scuola, 2508 giorni di supplenza in 13 scuole pubbliche (2 medie, 5 licei scientifici, 2 istituti tecnici, 2 ex magistrali, 2 classici) di 5 comuni diversi (Roma, Tivoli, Ladispoli, Zagarolo, Palestrina) e in 42 classi (3 prime medie, 1 terza media, 15 prime liceo, 8 seconde, 9 terze, 3 quarte, 3 quinte). Mi sono fatto tutte le sezioni dalla a alla i più la pi. Il voto più basso che ho dato 1, il più alto 10, i vaffa 3, 1 gol fatto e 11 subiti.


il grafico qua sopra infine rappresenta i tempi di percorrenza (dalla porta di casa al cancello di scuola) a partire dal primo incarico. Riflessione: ho evitato Olevano per un pelo nel 2003-2004 (sarebbero stati 120 minuti), Subiaco nel 2001-2002 (convocato per quattro ore, mi sono trovato davanti 23 persone), Velletri (quando stavo per partire mi ha chiamato un’altra scuola), Colleferro (avevo già accettato, mi hanno richiamato per dirmi scusi, ci siamo accorti che lei non è più in graduatoria).

Introdigitazione (2002)

Non ci hai capito nulla? Me lo immaginavo.

Questa introduzione non ti servirà probabilmente a nulla, se non hai capito il menu della pagina principale.
Bene, veniamo al sodo.
perché questa pagina?
Per scherzo. Due anni e mezzo fa, suppergiù, non avevo [quasi] niente da fare. Non tutto quello che mi è toccato fare nei due anni successivi. Quindi, retrospettivamente, non avevo molto da fare. Montai le prime pagine per pubblicizzare certi racconti, testi sparsi e semi-dimenticati, pagine che ho scritto per sopravvivere alla noia e di qui il titolo che hanno attualmente: letteratura di sussistenza.
Pensai che la pagina potesse servire anche per rendere noti i risultati dei test di latino. Non l’ho mai fatto. Che potesse raccogliere delle prove, delle segnalazioni didattiche. E così una sua sezione si è ingrandita con le tracce dell’esame di stato, la guida al saggio breve (tutto rigorosamente originale), le figure retoriche, analisi svolte, temi.
Un’altra pagina è nata dopo la bocciatura del concorso ordinario, è servita per creare un collegamento di sfigati. Aiutati dai comitati di base della scuola, abbiamo fatto un appello a ricorrere, a chiedere gli elaborati con la legge sulla trasparenza, abbiamo reso pubblici alcuni fatti che gettavano una luce sinistra su tutto il concorso: il compito di Marina sporco di olio e sugo. La pagina ebbe successo, molti contatti, ne parlò anche il Messaggero. Quella pagina non c’è più, ma il materiale più significativo è finito tra gli interventi.
Poi ci sono delle lettere pubblicate qua e là, in ordine cronologico. Parlano quasi tutte del precariato, della condizione precaria, della precarizzazione. Ma le ha scritte un sissino, oggi sissato. Le ho scritte prima e durante. Sono tutte un po’ differenti dalle relazioni che ho discusso durante il biennio ssis e che non pubblico perché fatico a riconoscermici del tutto. Sono tutte un po’ differenti tra loro, a partire dal manifesto dei precarissimi, sbattuti fuori dalla scuola, che non ho scritto io e che non ho neppure riveduto, sebbene ne abbia tratto un volantino che ho distribuito davanti al ministero e che mi ha fatto guadagnare, si fa per dire, una breve apparizione in tv. Questo non c’entra niente con il sito web, o c’entra poco (un intervento dal titolo Il mio primo sit-in ad agosto, ah non mi chiedete di fare i link, andate a cercarveli da soli), ma un’alunna mi scrisse poco dopo “Ti ho visto in tv”. Sic. A quel tempo i miei allievi mi sembravano tutti individui con i quali poter avviare una conversazione su un piano critico. Ancora è così.
Ad un certo punto ho perso il filo. Ho continuato a pubblicare test, temi, compiti in classe nella sezione degli strumenti didattici. Ma ho anche cominciato a pubblicare un po’ di tutto, quello che mi passava per le mani, e anche alcune cose che mi sono cercato: una galleria di gallerie, un diario scolastico più volte riveduto, foto di gatti, grafici ministeriali. Finalmente, mi decido a mettere ordine e scopro che numerose pagine sono doppie, che c’è lo stesso testo riveduto e ripubblicato ogni volta con un link diverso. Avevi ragione a consigliarmi di mettere in ordine, ma una cosa è certa: l’ordine è molto più soggettivo del disordine. Lo leggevo su una bozza della rivista Parolechiave che mi è capitato di correggere.
Ecco, questo fa parte del curriculum, il cui indirizzo rimane pressoché celato ai più (solo chi legge questa introdigitazione può arrivarci cliccando per sbaglio qui), ed è anche giusto perché non a tutti interessa realmente quello che facevo prima di diventare insegnante. E certamente non si scomoderà a telefonarmi per dirmi che ho sbagliato mestiere, a suggerirmi di tornare a fare questo o quello. Non dopo aver sgobbato due anni per avere un altro titolo: la specializzazione all’insegnamento secondario. Lo scrivo per esteso per fare più impressione: sono tre anni che la scuola di specializzazione all’insegnamento secondario fa bau bau per dire a tutti quanto siamo belli. Uffa: cioè basta co sta ssis. In due anni la ssis a me ha insegnato questo: che un insegnante non ha nulla di buono da imparare da altri insegnanti.
perché questa pagina?
Di nuovo. Un’altra risposta. Ho fatto questo sito quasi per scherzo. Molte idee strampalate a certi vengono di mattina. A certi di sera. A me sarà venuta nel luogo deputato a espellere un’idea: ad una fermata dell’autobus, di pomeriggio. La storia del sito non interessa a nessuno, né tanto meno a me. Siccome insegno a scuola ho trovato naturale pubblicare le versioni, i temi e quant’altro aveva una vaga somiglianza con la didattica. Ma i miei allievi in media Internet lo usano poco (e male, ti farò vedere un test). Raramente usano Internet per venire a trovare me (salvo eccezioni).
Ho capito che il sito poteva servire come deposito di materiali, senza un preciso fine didattico. Il deposito ha accolto le mie speculazioni sul problema del saggio breve. Ho indirizzato i colleghi interessati a questo argomento i quali hanno pensato bene di farmi fuori le fotocopie. La fisicità è ancora molto importante. Ora vi racconto una storia che vi riempirà di orrore. Premetto, se non si fosse già capito, che non scrivo tutto questo per trovare lavoro. Anzi, di voglia di lavorare ne ho molto poca. Quindi i datori di lavoro sono avvertiti: ma vadano ugualmente a vedere il curriculum per capire cosa si sono persi. La storia in realtà non è una storia, ma un pensiero, e neppure tanto originale. Tutti pensano ad un mondo in grande trasformazione, alla new economy e alla velocità telematica illudendosi, forse, di vivere in uno di quei momenti che nei grafici sono ben rappresentati da una linea che va su. Una di quelle linee che proiettate su una strada permettono ai grandi ciclisti di vincere i famosi gran premi della montagna (detto tra noi: con una bella pera). Ammesso e non concesso che, rispettando la complessità dell’esistente, tale gloriosa scalata potrà esistere per talune discipline, resta il fatto che la linea di tendenza, in generale, andrebbe rigirata di sotto. Sì, vedo che avere capito, come una di quelle discese rischiose che i ciclisti imboccano a tutta birra dopo che hanno scalato la montagna. In giù ma tanto veloce. Tanto veloce da farci credere che, in effetti, si vada velocemente da qualche parte.
Guardiamoci attorno: l’uomo è peggiorato. Il cittadino non esiste più. I vigili continuano a multare. Non parliamo poi dell’alunno, che riceve sempre più passivamente una scuola dove non riesce neppure più a divertirsi. Difendete pure il latino in classe, cari professori, se volete conservare il vostro posto di lavoro. Ma in privato, per favore…
A me il latino piace. Mi piace perché una volta non mi riusciva e invece dopo sì. Tutto soddisfatto, in quarta ginnasio, mostrai al mio babbo un esercizio di concordanze tra sostantivi e aggettivi e me ne andai a fare la quotidiana pedalata. Non ho mai preso tante botte in una volta sola. Non l’ho prese neppure quella volta, per la verità, e non ho cominciato a studiare il latino quella sera, ma ben sei anni più tardi. Il latino va difeso con i denti perché è bello. Perché è l’ultima spiaggia contro l’invadenza del pensiero facile e precotto che ci rende tutti somari e contenti. Va detto con coraggio questo fatto qui. Autorizzo i miei alunni a prendermi a cancellini il giorno che andrò a dire che si deve studiare il latino per il patrimonio di valori che la classicità ci tramanda. Corposa eredità, mi rendo conto.

Ad un certo momento devo lasciare che ciascuno si faccia il suo giro per il sito senza tanti preamboli. Troverà di tutto. Tra le altre cose, essenza del tutto, troverà un’incompiutezza che non è confusione. Diversi stili grafici, tutti molto artigianali. Scrittura contro più che a favore. Ricordi struggenti e collegamenti autistici: sta sul mio mac, che male c’è se carico i miei orari del treno che devo prendere domani. Non è che voglio farvi sapere dove vado.

Retro-digitazione
di Rosella Basiricò

Quando ho cliccato sull’indirizzo della pagina web aleriniana con l’intenzione di bazzicarci un po’ per distogliermi da un assillo scolastico (una di quelle cose che lì per lì sembrano una “scemenza conclamata” – tanto per riprendere una espressione ancora aleriniana – e poi ti inseguono per giorni interi) erano poco più che le sei. Adesso mi trovo alle sette: ho vagato per quasi un’ora nelle pieghe di questa pagina dove si passa a distanza di qualche secondo dal sito della CGIL scuola all’elenco telefonico, da immagini sissine ormai appartenenti alla dimensione del subconscio a materiale didattico di vario genere. C’è di tutto, insomma, non la si può proprio considerare un rifugio di razionalità. Meglio così. Del resto, non credo avesse la pretesa di esserlo.

Tuttavia, un po’ più di ordine (lo so, lo so: come stava scritto in una delle cento pagine accessibili, l’ordine è più soggettivo del disordine) forse non guasterebbe: se adesso volessi ritrovare qualcosa di letto o di visto, avrei serie difficoltà a rifare il percorso. Ma va bene così, a voler essere troppo razionali si finisce nei guai.
Io per esempio mi sto interrogando da giorni intorno ad una “scemenza” nata in un’aula scolastica. Siamo ad Anagni, I media. Qualche giorno fa. Sto parlando della preistoria, in particolare dell’evoluzione dell’uomo: dico che gli Australopitechi, le prime scimmie a tentare la posizione eretta, possono essere definiti i primissimi progenitori del genere umano. Un ragazzino, dopo aver pensato un po’, al termine di un suo ragionamento che dal suo punto di vista era assolutamente impeccabile e logico, alza la mano e mi dice: “Professoressa, ma allora Adamo ed Eva erano Australopitechi?”. Provate voi ad immaginarvi Adamo ed Eva, dipinti dai grandi artisti del passato come un uomo e una donna belli come si può essere belli solo uscendo dalla mano di un dio, improvvisamente tramutati in scimmioni pelosi con le braccia lunghe fino alle gambe. Per me fu una domanda di un imbarazzo terribile. Lo sapevo che prima o poi ‘sta storia di Adamo ed Eva me la dovevano tirare fuori. Per uscirmene dignitosamente, oso dire che quello della Bibbia è solo un racconto simbolico che non è realmente accaduto.
Suona la campanella (salvezza per gli alunni e qualche volta anche per i professori) e vado via. Qualche giorno dopo incrocio in sala professori una infuriata collega di religione che mi accusa di professare idee anticristiane: il ragazzino aveva riportato in chissà quale modo le mie parole sulla Genesi biblica all’irriducibile prof di religione (donna) che si è sentita colpita al centro del cuore. Cercai di difendere le mie “idee anticristiane” (con conseguente crisi di identità, essendo entrata in azione cattolica a otto anni e frequentando tuttora assiduamente la parrocchia sotto casa) ma non ci fu nulla da fare: pare che ai ragazzini si debba dire che la parola della Bibbia è oro colato in tutti i suoi dettagli (voglio vedere cosa lei si inventerà quando dovrà spiegare che nella Genesi si dice che Noè aveva più di 900 anni. Forse che gli omogeneizzati di allora erano più efficaci e si viveva di più).

Tutto questo accade negli stessi giorni in cui una sentenza di un giudice ingiunge un dirigente scolastico a togliere il crocifisso dall’aula per rispetto ad alunni musulmani, scatenando un putiferio nel governo e nella Chiesa. Non entro nel merito, ma mi pare che si stia davvero passando il segno nel nome di una intransigenza e irriducibilità che mi sembra più pagana che spirituale.

Precario equilibrio

1
C’è stato un tempo in cui lavoravo a casa. Tre o quattro ore di mattina. Una sigaretta e un caffè. Tre o quattro ore di pomeriggio. Un caffè e due sigarette. Dieci o quindici pagine all’ora se era correzione di bozze. Questa storia è durata qualche anno. Ho smesso di fumare nel momento più impensabile. Me lo ricordo, era un sabato pomeriggio. La domenica ho lavorato come un maiale. Da lunedì ho cominciato a contare le ore, poi i giorni. Spesso caricavo la macchinetta del caffè e poi me ne dimenticavo. Ne saranno andate in fumo tre in quel periodo. Non avevo ancora l’abitudine di dare un nome alle macchinette. O forse sì, in parte. Due si sono chiamate Christiane ma non ricordo in onore di chi o che cosa. Andate in fumo, senza ombra di dubbio. Non ho mai avuto la tentazione di ricominciare a fumare. L’unico surrogato alle sigarette da sempre è stato solo il caffè.

2
Il giorno dopo essermi laureato, l’11 luglio del 1994, ero fermamente convinto di non voler diventare un insegnante. Questa esitazione mi ha fregato. È stata questa, più di tutte le altre, la grande fregatura. Sì che ho fatto la domanda di inclusione nelle graduatorie provinciali del 1995 – ora si apre uno spiraglio, quanti anni ancora dovremo aspettare prima di poter tornare almeno alla posizione in cui eravamo prima? -; non che non abbia portato personalmente, con la macchinuccia scassata che avevamo avuto regalata, le domande alle 30 scuole (e quali scuole, che assortimento). Ma, dopo ti accorgi che fare le cose in modo meccanico è altra cosa rispetto a farle in modo creativo, immaginoso. Che volere è potere. Sognare di fare una cosa è già farla.

Che idiozia avvilirsi oggi quando mammà mi ripete questa litania: ti dovevi decidere prima. Hai perso troppo tempo nell’editoria. Avevo delle ambizioni, maman. Ti hanno buggerato, invece. Sì, è così. La svolta è venuta un giorno di settembre del 1995, a un anno – passato praticamente invano – dalla laurea. Che ci sarà di strano se ti telefona una redattrice di una casa editrice per offrirti un lavoro come correttore di bozze? Nulla, se questo è il solito lavoretto che dura un mese, che poi regolarmente non ti verrà pagato. Invece è stato l’inizio di una collaborazione stabile e duratura, una specie di carriera apparente, una parabola. Pur non essendo amico di nessuno, parente di nessuno, nei miei primi due anni sono stato coccolato, blandito, ho avuto i libri in regalo (ho cominciato dopo a rubarli), ho avuto gli inviti a cena (che ho disertato) e finalmente, un giorno, ho avuto la mia occasione come passacarte, credevo io. O se preferisci, come tappabuchi. Cooptato per interposte dimissioni, e dismissioni, in attesa che abboccasse il cugino libero. Ti scruteranno, diceva il mio consigliere, il grafico, e poi ti prenderanno perché avrai dimostrato di essere affidabile. E cambiare non gli converrà. Dopo qualche mese ha commentato il mio licenziamento dicendo: sei un tipo troppo poco da giacca e cravatta. Come puoi ricevere Rodotà (e chi se ne frega), o la Mafai (idem), come se fossi tornato dalla piscina? E così era, infatti.

No, la sindrome dell’inetto non ce l’ho. Certo che sono presuntuoso. Non posso né voglio impedirmi di dire che so fare un mucchio di cose. E bene. Nell’editoria ho imparato tutto quello che si poteva imparare: correggere le bozze, revisionarle, editarle, impaginarle, cucinarle, spedirle con il pony. Ho ancora un Petrarca, in due volumi, rifinito in tipografia in un pomeriggio dei primi di agosto. Non mi è servito a niente. Chiuso due giorni in una stanza con un computer a calcolare le ricorrenze di tutte le vittime, di tutti i carnefici delle Fosse Ardeatine tondo per i primi corsivo per i secondi, tondo tondo corsivo, senza provare più alcuna emozione. Forse mi è servito ad apprendere questa applicazione feroce al mezzo meccanico, e per estensione telematico. Gli ultimi lavoretti l’ho fatti male di proposito, o in fretta, pensando ad altre cose, guardando la televisione, ascoltando musica, parlando al telefono. Tutte cose che non avrei fatto prima. Vedevo il mio posto occupato a turno da tutti i cugini titolati con giacca e cravatta o gonna a pieghe: per lo più gente con aria da carciofo, dalla qual cosa ho almeno creduto di evincere che gli intellettuali sono contornati da famiglie di perfetti idioti.

Ho anche preso la specializzazione come documentalista con una tesi sulla multimedialità e sono stato preso letteralmente a pedate. Avevo fatto due sbagli: scrivere, a grandi lettere, che l’ipertesto è solo un business e impaginare la tesi come un libro, con i caratteri piccini che avevo imparato da quell’altra parte. E per quella maleodorante ideologia antibufala che non è gradita in certi ambienti: lei, dottore, mi deve riempire tante cartelle delineando il fenomeno in tutti i suoi aspetti costitutivi, faccia confronti, si documenti sugli altri paesi europei, elenchi dei numeri.

Di fatto ero a caccia di una supplenza. Il resto è storia.

3
Dopo un biennio di specializzazione non mi sento investito di una missione. Non scriverò: ho imparato a insegnare. Non sono diventato altro, continuo ad andare a scuola e ad affrontare le medesime difficoltà di ieri. Che cos’è cambiato?
Sono entrato nella SSIS come insegnante parzialmente formato. Ne esco parzialmente formato. Tra quei due parzialmente c’è un segmento della mia formazione che ho condiviso con altri.
Non so quantificare le conoscenze e competenze che ci sono tra quei due parzialmente. Sono certo che ci sono, benché il ritmo martellante delle scadenze del corso (i semestri, i moduli, le prove in itinere, il tirocinio ecc.) non mi abbiano permesso di rifletterci su, di godermi la formazione acquisita.
Mi limito alle critiche, evito la captatio benevolentiae che questa relazione rende inutile: dentro c’è già tutto quello che sono diventato dopo il percorso di specializzazione, nel bene e nel male. E anche gli strumenti per risolvere le difficoltà che incontro ogni giorno. Ma non la soluzione. Non è un cattivo segno che certe cose non si possano apprezzare sul breve periodo.
In primo luogo: le cose che mi aspettavo di trovare e non ho trovato.

Dicono di me

Non vado a scuola, ma all’asilo

Una prof ha assegnato come tema il titolo di questo blog. Tempo fa, ma l’ho scoperto ora. Dice che da Non vado a scuola, ma all’asilo (ci ha ficcato in mezzo una virgola, o forse lo studente che ha chiesto aiuto a StudentVille) si può tirare fuori un testo narrativo o fantastico o una pagina di diario dove (magari) si racconta il comportamento infantile dei propri compagni o la sensazione di essere tornato all’asilo (interpretazioni regressive). Prima o poi dovrò raccontare com’è nato questo nome.

Il comportamento dei miei compagni di classe

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