[da «la Repubblica», 15 ottobre 2018]
Nel 2003 il premio Nobel per l’Economia Robert Lucas scrisse: «Di tutte le tendenze dannose per una disciplina economica sensata, la più seducente e, secondo me, la più velenosa è quella di concentrarsi sulle questioni distributive». Lucas puntava solo sulla crescita che fa crescere anche il reddito dei poveri e quindi riduce la povertà. Principio ben rappresentato dalla metafora secondo cui “la marea che sale fa salire tutte le barche”. Povertà e disuguaglianza non sono la stessa cosa. L’eventuale ulteriore arricchimento dei ricchi, pur facendo aumentare le disuguaglianze, aiuta tutti perché un po’ della maggior ricchezza creata filtra verso basso (trickle-down). Le briciole del ricco Epulone toccheranno al povero Lazzaro.
La scoria recente si è incaricata di smentire l’ottimismo di Lucas e dei tanti che ancora la pensano come lui. La crescita economica accettabile (almeno fino al 2007), non ha impedito che la disuguaglianza negli ultimi trent’anni mediamente aumentasse nei paesi sviluppati (tra cui I’ltalia).
E questo tanto con riferimento ai redditi quanto, e anzi di più, con riferimento alla ricchezza, con un sensibile miglioramento assoluto e relativo delle posizioni dei super-ricchi e un peggioramento relativo delle classi medie e dei poveri.
Parallelamente, mentre diminuiva l’incidenza della povertà assoluta a livello mondiale, aumentava nei paesi sviluppati e anche in Italia. Anche perché i nuovi abitanti del mondo ricco erano immigrati poverissimi, per i quali l’ascensore sociale non ha mai aperto le porte.
L’ idea che si possa sradicare la povertà, ma si debba tollerare la disuguaglianza perché la disuguaglianza fa crescere di più non funziona.
Vari studi recenti di origine lmf e Ocse mostrano come la stessa crescita economica è influenzata dalla disuguaglianza. Negativamente. Cioè ogni aumento della disuguaglianza nei redditi equivalenti (che tengono conto della numerosità e della composizione dei nuclei familiari) riduce un po’ la crescita economica. E quindi la possibilità di combattere la povertà tramite la crescita. Inoltre, le politiche redistributive sembrano avere effetti positivi sulla crescita, soprattutto se servono a ridurre le disuguaglianze nella zona bassa della distribuzione dei redditi. Dunque: bisogna che vi sia meno disuguaglianza perché vi siano più crescita e meno poveri e quindi sia meno difficile combattere la povertà.
Ma disuguaglianza e povertà non sono fatte solo di redditi e ricchezza. Giustamente l’Asvis (l’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile, il cui portavoce è l’ex presidente dell’Istat Enrico Giovannini) ha da tempo elaborato indicatori “compositi” tanto per la disuguaglianza che per la povertà, capaci di tener conto dei vari elemcnti che contribuiscono all’una e/o all’altra, tra cui ovviamente anche l’accesso a quei servizi sociali (dall’abitazione all’istruzione e alla sanità) che Amartya Sen (altro premio Nobel) definirebbe «capacitanti».
Se guardiamo a questi indicatori compositi, la situazione italiana sembra in peggioramento, sia sul fronte della povertà che su quello della disuguaglianza, anche negli anni della lunga crisi, quando i semplici indici della concentrazione dei redditi e delle ricchezze non sembrano segnalare significativi aumenti della disuguaglianza.
Più si legge e si studia il tema della povertà e delle disuguaglianze, più ci si rende conto come l’idea di “eliminare la povertà” in Italia introducendo un reddito di cittadinanza per 10 miliardi complessivi sia, per essere generosi, una pericolosa illusione.
Da un lato, le risorse disponibili (si fa per dire “disponibili”, perché in realtà ottenute facendo aumentare il debito pubblico) sono poche per affrontare il problema nella sua dimensione reale, dato il numero di poveri assoluti (oltre 5 milioni in più di 1 milione e 700 mila famiglie nel 2017, secondo l’lstat) e la loro più elevata concentrazione nel Mezzogiorno. Dall’altro, i semplici trasferimenti monetari (che ci devono essere, intendiamoci), anche qualora fossero sufficienti non sarebbero in grado di affrontare le molte dimensioni della povertà e, in primo luogo, la povertà di servizi capacitanti e la povertà ambientale (il minor benessere derivante dal vivere nei luoghi più inquinati e a maggior rischio ambientale del Paese). Per non parlare di tutte le difficoltà di pratica attuazione di una misura condizionata alla prova dei mezzi e della disponibilità a lavorare o, addirittura, della moralità delle spese. II rischio trappola della povertà sempre dietro l’angolo.
Temo sia molto trovare una soluzione ai problemi della povertà e della disuguaglianza nel nostro paese se non si riesce a ridurre I’estensione dell’evasione fiscale. Solo da un forte recupero del gettito possono venire le vere risorse (non a carico delle generazioni fiture) per alimentare le spese a favore dei poveri e, al contempo, aumentare l’efficacia redistributiva del prelievo e quindi stimolare la crescita economica. I condoni vanno nella direzione opposta a quella giusta