ZOLTAN ISTVAN La cultura del chip sottopelle

[da The New York Times, tradotto da «Internazionale», 1309, 31 maggio 2019]

Migliaia di persone in tutto il mondo hanno un microchip nel corpo. Ma le leggi che regolano gli impianti sono poche e c’è molto scetticismo verso questa tecnologia

L’impianto di microchip negli esseri umani non è più fantascienza. Centinaia di migliaia di persone in tutto il mondo hanno nel corpo un chip o un trasmettitore elettronico, spesso per scopi medici, come gli impianti cocleari per i sordi. Ultimamente, però, i sostenitori delle modifiche corporee e gli appassionati di tecnologia s’impiantano dei microchip per fare cose come accendere l’auto o pagare in bitcoin.

Il mercato degli impianti tecnologici per uso non medico non è regolamentato, ma la situazione potrebbe cambiare: gli inviti ad avere leggi più severe sono sempre più insistenti. Nel 2015 ho scelto di farmi innestare un microchip durante il Grindfest, un raduno di biohacker (persone che fanno ricerca biologica nello stile hacker) in California, mentre ero seduto in un garage su una sedia da dentista. Questi impianti sono grandi quanto un chicco di riso e s’installano con una siringa. Ognuno ha un numero d’identificazione e costa circa cinquanta dollari. Di solito si impiantano nei tessuti tra il pollice e l’indice.

Farsi inserire un microchip rappresenta ancora una parte divertente di una cultura semiclandestina, ma l’ interesse cresce anche in ambienti più umciali??. Nel 2016 la marina degli Stati Uniti mi ha chiesto una consulenza per capire se gli impianti applicati ai soldati avrebbero potuto influenzare il funzionamento di un sottomarino nucleare. Più di recente se n’è parlato quando un’azienda del Wisconsin ha offerto ai suoi dipendenti degli impianti che sostituiscono il cartellino e permettono di azionare una fotocopiatrice o comprare da mangiare dai distributori aziendali. Non c’è da sorprendersi se un simile interesse da parte dell’esercito e del settore privato ha alimentato le preoccupazioni legate a questa tecnologia. A febbraio un democratico dell’assemblea generale del Nevada, Skip Daly, ha introdotto una proposta di legge per rendere illegale l’impianto involontario di microchip. Poi l’ha emen dato, includendo anche quello volontario. La proposta di legge ha scatenato un’ondata di critiche nella comunità dei biohacker, perché sembra un primo passo verso la tolleranza zero.

Rischi e benefici

Non riesco a immaginare dei cittadini favorevoli all’impianto involontario di microchip, ma non dovremmo farci prendere dalla paura. Sono tre anni che ho il mio chip, e ho imparato ad affidarmi alla tecnologia. Il lucchetto elettrico nella porta d’ingresso di casa ha uno scanner per microchip, ed è piacevole andare a fare surf e a correre senza dovermi portare dietro le chiavi. Per chi non ha l’uso delle braccia, i chip inseriti nei piedi sono il modo più semplice di aprire delle porte o di far funzionare gli elettrodomestici dotati di lettori di microchip. Questi impianti non sono una cosa per tutti e, anche se i rischi per la salute sono minimi, i chip impiantati prima o poi diventeranno obsoleti e andranno sostituiti. Senza contare le legittime preoccupazioni per la privacy. Finora, tuttavia, gli impianti possono essere rilevati da una persona solo a una distanza di pochi metri. Più di ogni altra cosa, l’innesto di microchip illustra un principio fondamentale del movimento transumanista, divulgato dal futurologo Max More: il diritto di modificare il proprio corpo a proprio piacimento, a condizione che non rechi danno agli altri.

La levata di scudi contro Daly ha funzionato: ha nuovamente modificato la sua proposta, con un testo che esclude gli impianti per l’espressione individuale e per scopi medici. Presto ogni stato degli Stati Uniti dovrà affrontare la questione. I legislatori, dopo aver studiato i dati, capiranno che i benefici di una cultura di biohacking con le giuste regole sono superiori ai rischi.

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