Tonno

I cinesi non mangiano il tonno in scatola. Se dovessero cominciare non ce ne sarebbe più per nessuno.
Henk Brus

Cinque sono le specie di tonni commercialmente significative. C’è il tonno rosso (il bluefin), che vive anche in acque subtropicali, nel Pacifico e nell’Atlantico, ma viene pescato soprattutto nel Mediterraneo, prodotto pregiatissimo e richiestissimo per il sushi e il sashimi; c’è il pinne gialle (yellow-fin), usato molto dall’industria conserviera che ha come mercato di riferimento il Sud Europa (Italia, Spagna). C’è lo skipjack, o tonnetto striato, il più comune, il più economico e più consumato al mondo, soprattutto in Europa del Nord e Nordamerica. C’è l’alalunga (albacore), che viaggia a latitudini subtropicali, ha la carne più chiara ed è usato soprattutto nel mercato in scatola statunitense, in cui occupa una porzione pari al venti per cento. C’è il tonno obeso (bigeye), che viaggia anch’esso a latitudini tropicali ed è usato in sostituzione del bluefin nella preparazione di sushi e sashimi.
Queste specie hanno diversi cicli biologici: il pinne gialle può vivere fino a dieci anni, può arrivare a due metri di lunghezza, raggiunge la maturità sessuale dopo due anni e mezzo; lo skipjack è più piccolo, può arrivare al massimo a un metro di lunghezza, raggiunge la maturità sessuale dopo un anno e mezzo e ha una forte capacità riproduttiva tutto l’anno, tanto che è soprannominato il «ratto del mare»; il bluefin è un animale grandioso, può arrivare a una lunghezza di tre metri e a un peso di seicento chili. Con le loro specificità, tutti questi tonnidi hanno un tratto comune. Pur se ognuno in maniera diversa, sono tutti di fronte allo stesso rischio: l’estinzione.

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Mentre passiamo accanto alla macchina su cui scorrono le scatolette da riempire con il prodotto, prende un pezzetto di tonno e me lo fa assaggiare. Io lo metto in bocca e rimango interdetto: non sa di nulla, sembra quasi di masticare del cartone. Duran osserva la mia espressione sconcertata e scoppia a ridere. «Hai capito perché aggiungiamo il sale e l’olio d’oliva?».

Stefano Liberti, I signori del cibo

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