GIOVANNI DE MAURO Aperta

Da «Internazionale», 1403, 2 aprile 2021

Se in Italia si fosse investito nell’istruzione come sarebbe stato giusto fare, e come è stato fatto altrove in Europa, il dibattito sulla riapertura delle scuole sarebbe diverso. Ma non è successo e oggi studenti e insegnanti sono abbandonati a se stessi. L’Italia è ultima in Europa per spesa nell’istruzione in rapporto alla spesa pubblica totale (8,1 per cento nel 2018) e quart’ultima per spesa in rapporto al pil (3,9 per cento). Numeri che, da soli, indicano la scarsa considerazione che da sempre i governi e la società in generale riservano all’istruzione. Riaprire o no le scuole è di fondo una scelta politica, prima che sanitaria. In questi mesi è aumentata la dispersione scolastica. Sono aumentati i ragazzi e le ragazze che non riescono a seguire le lezioni a distanza, anche per le difficoltà di connessione e per il costo di strumenti tecnologici adeguati. Sono aumentati i casi di malnutrizione per bambine e bambini che dipendono dalle mense scolastiche (Save the Children ne calcola almeno 160mila). Sono aumentati i ragazzi e le ragazze con problemi psicologici gravi (il 79 per cento degli adolescenti coinvolti in uno studio della fondazione Mondino ha detto di avere avuto sintomi di stress, e il 54 per cento di loro soffriva di stress post-traumatico). «La scuola è aperta a tutti», dice l’articolo 34 della costituzione. Bisogna fornire agli insegnanti ogni possibile garanzia, monitorare con attenzione l’evoluzione della pandemia (consapevoli però che neppure per le scuole si può far valere il rischio zero come unico parametro per valutarne l’apertura), moltiplicare gli studi sull’effettiva diffusione nelle scuole del covid, e poi stanziare somme sufficienti a rendere più sicura la didattica in presenza e vaccinare tutto il personale scolastico. Ma al tempo stesso è necessario affermare che la scuola, così come già accade ad altre attività (produttive e non solo), è essenziale e come tale dovrebbe rimanere aperta.

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