[Da «La scuola senza andare a scuola»]
Io, mia moglie, mia figlia. Non andiamo a scuola, ma ogni giorno le nostre scuole entrano nel nostro appartamento, che si popola di voci e di volti inaspettati. È l’ebrezza dello smart working.
Mi sento a disagio. Non esiste più confine tra vita pubblica e vita privata, tra lavoro e non lavoro, tra casa e scuola.
Mi sento un ventriloquo e mi sento spiato. Non ho più privacy.
Prima di scambiarci due parole, io e mia moglie ci guardiamo intorno con sospetto, controlliamo che microfono e webcam non siano accesi, che la porta della camera di nostra figlia sia ben chiusa e sulla sua mano destra non sia applicata l’inseparabile protesi tecnologica: l’i-phone.
Non esiste più intimità. Anche Bebèl è più nervosa e scodinzola in modo insensato.