Gli acronimi, suggeriva Paolo, ogni tanto bisogna scioglierli, per non dimenticare cosa significano. Le due erre di PNRR stanno per ripresa e resilienza. Resilienza non è resistenza, è quasi una bestemmia, è adattarsi al peggio, e quando è passato il peggio, al peggio del peggio, e così via. Se la scuola, in nome della ripresa, riceve 500 banchi monoposto con le rotelle deve trovargli un posto, distribuirli nelle aule, negli stanzini, nelle anticamere. E quelli che avanzano verranno ammassati nel cortile, a prendere la pioggia.
Qualcuno l’ha scritto, la scuola è resiliente per natura. Quando qualcuno ha annunciato che voleva raderla al suolo, le famose riforme epocali, gli insegnanti sono scesi in piazza. Ma il giorno dopo hanno iniziato a rimettere a posto i mattoncini. Un collega, l’anno dopo l’approvazione della Buona Scuola, ha detto: pensavo peggio. La cosa più pericolosa delle riforme è che sono inattuabili. E qui risiede la capacità degli insegnanti di trovare le soluzioni. La resilienza richiede la partecipazione dal basso. Stavo per dire connivenza.
Il PNRR, intanto, non è una riforma, è solo un piano. Come i prestiti del FMI, è condizionato, dice se vuoi il prestito devi fare così e così. A noi non importa, a quanto vedo, sono soldi che entrano nelle casse della scuola, è stupido rifiutarli, qualcuno li restituirà, il progresso tecnologico è inevitabile. Poi, quando un giorno ci chiederanno di sfoltire la categoria perché la tecnologia permette di duplicare la figura del docente praticamente all’infinito, soprattutto se si tratta di impartire istruzioni, perché è l’imperativo della ripresa che lo richiede bellezze, non le avete lette tutte le clausole del PNRR?
Ma a quel punto sarà troppo tardi. È già troppo tardi.