MICHAEL YOUNG Scegliere uno significa sempre respingere molti

Da L’avvento della meritocrazia (1958)

Nel 1914, cioè all’inizio del periodo su cui mi sono specializzato, le classi superiori comprendevano un’equa percentuale di geni e di deficienti, e così le classi lavoratrici; o meglio, dato che sempre un certo numero di operai brillanti e fortunati sono riusciti a salire in alto nonostante la loro origine sociale di subordinati, le classi inferiori contenevano una percentuale di persone superiori quasi uguale a quella delle classi elevate. L’intelligenza era distribuita più o meno a caso. Ciascuna classe sociale appariva, in fatto di capacità mentale, una miniatura della società tout court, la parte era uguale al tutto. Il mutamento fondamentale degli ultimi cento anni, già discretamente avviato prima del 1963, è che l’intelligenza è stata ridistribuita tra le classi, e quindi la natura delle classi è cambiata. Agli individui particolarmente dotati è stata data la possibilità di salire al livello che si addice alle loro capacità, e di conseguenza le classi inferiori sono state riservate a coloro che sono inferiori anche in fatto di capacità. La parte non è più analoga al tutto.
Il ritmo del progresso sociale dipende dal grado in cui il potere si accoppia all’intelligenza. La Gran Bretagna di cent’anni addietro sprecava le sue risorse condannando persino le persone molto dotate al lavoro manuale e bloccava gli sforzi di certi membri delle classi inferiori per ottenere un giusto riconoscimento delle loro capacità. Ma la Gran Bretagna non poteva restare una società di casta se voleva sopravvivere come grande nazione: grande, s’intende, in confronto ad altre. Per resistere alla concorrenza internazionale il paese doveva fare miglior uso del suo materiale umano, e soprattutto dell’ingegno, che persino in Inghilterra — ma si potrebbe dire sempre e ovunque — era troppo scarso. Le scuole e le industrie sono state progressivamente spalancate al merito, affinché i fanciulli intelligenti di ogni generazione avessero la possibilità di salire. La percentuale delle persone aventi un QI superiore a 130 non poteva venir accresciuta — il compito era semmai quello di impedire la diminuzione — ma la percentuale di tali persone impiegata in attività che utilizzassero appieno le loro capacità è stata costantemente aumentata. Per ogni Rutherford si sono avuti nei nostri tempi dieci magnati della stessa levatura, per ogni Keynes due, e persino Elgar ha avuto un successore. La civiltà non dipende dalla massa ignorante, dall’uomo medio sensuale», ma dalla minoranza creatrice, dall’innovatore che con un solo gesto può far risparmiare il lavoro di diecimila persone, dai pochi brillanti dalla curiosità inesauribile, dalla dinamica élite che ha reso la mutazione un fatto sociale non meno che biologico. I ranghi degli scienziati e dei tecnologi, degli artisti e degli insegnanti sono stati dilatati, la loro preparazione è stata resa conforme al loro alto destino genetico, il loro potere per il bene è stato aumentato. Il progresso è il loro trionfo; il mondo odierno, il loro monumento.
E tuttavia, se trascurassimo i caduti del progresso, finiremmo per diventare vittime, nella sfera delle relazioni umane, di quel senso di soddisfazione insidioso che deploriamo tanto nella scienza naturale. Nella equilibrata visione della sociologia dobbiamo considerare gli insuccessi non meno dei successi. Scegliere uno significa sempre respingere molti. Dobbiamo ammettere francamente d’aver trascurato di valutare lo stato mentale dei respinti, e quindi di provvedere al loro necessario adattamento. Il pericolo incombente su di noi dopo lo choc provocato dagli avvenimenti dell’ultimo anno è che la massa vociferante che trova sprangate a suo danno le porte dell’istruzione superiore possa rivoltarsi contro l’ordinamento sociale da cui si sente condannata. Non è forse vero che talora le masse, nonostante la loro mancanza di capacità, si comportano come se soffrissero per una mancanza di dignità? Si vedono esse necessariamente come le vediamo noi? Noi sappiamo che solo dando via libera alla creatività e all’intelligenza ben addestrate e organizzate l’umanità può sperare di raggiungere, nei secoli futuri, le realizzazioni che merita. Dobbiamo però riconoscere che coloro che si lamentano dell’attuale ingiustizia credono di parlare di una realtà, e cercare di comprendere come mai per loro ha un senso ciò che noi consideriamo un’assurdità.

Testo suggerito da Daniele Lo Vetere

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