[Medicina e società, 24 giugno 2020]
Questa è una lettera aperta, che chiede priorità alla scuola e responsabilità di intenti in risposta all’inaccettabile piano 2020/2021, presentato il 23 giugno dal Ministero dell’Istruzione. Un piano che prevede, di fatto, la privatizzazione della scuola pubblica come unica soluzione alle necessità del suo rilancio. È una lettera indirizzata al Presidente della Repubblica, al Presidente del Consiglio, alla Ministra dell’Istruzione, al Governo, al Parlamento. Ma destinata a tutti i cittadini italiani, in quanto portatori di un interesse collettivo, pubblico e non privato, sul sistema di istruzione del nostro Paese. Una scuola che funzioni bene, una scuola in grado di assolvere al suo mandato costituzionale culturale e sociale, ovvero a un compito su cui poggia l’intero assetto civile e sociale del Paese, costituisce l’interesse principale di tutti noi, 60 milioni di italiani, nessuno escluso. Questo deve essere l’obiettivo prioritario di tutte le forze politiche, oggi impegnate nella gestione di una crisi economica senza precedenti, da cui non si può pensare di uscire rinunciando alla scuola pubblica.
Perché è dalla scuola che progettiamo oggi che dipenderà il nostro Paese domani.
Prima delle politiche e degli interventi sul lavoro, sulle imprese, sulle riforme, sugli assetti economici e sociali è necessario investire seriamente sulla scuola nel suo insieme, immaginandola come un orizzonte disegnato lungo l’intera penisola, articolato ma non frammentato, su cui intervenire unitariamente per garantirgli la necessaria ripartenza dopo la fase emergenziale del lockdown. Sul da farsi non ci sono dubbi né incertezze: lo diciamo noi docenti da anni, attraverso associazioni e sindacati, lo dicono oggi a maggior ragione gli esponenti della task force ministeriale ma lo dice ormai qualunque cittadino dotato di un minimo di informazione e buon senso.
Ridurre il numero degli studenti per classe, costruire nuove scuole e nuove aule con criteri ecosostenibili, recuperare sedi dismesse in tempi di dimensionamenti e accorpamenti, utilizzare spazi pubblici disponibili e fruibili solo nell’immediato, incrementare il tempo scuola, aumentare il personale docente e non docente. Questo significa rilanciare seriamente la scuola dopo l’emergenza sanitaria e dopo anni di tagli dissennati, in un progetto culturale non scevro da significative ricadute sul piano dei necessari investimenti pubblici destinati al rilancio economico del nostro Paese.
Alla scuola servono miliardi di euro e su questo non si può discutere. E non più solo i tre miliardi chiesti a suo tempo dal ministro Fioramonti in condizioni di normale amministrazione. Servono investimenti di gran lunga superiori a quelli destinati alle aziende pubbliche e private. Perché la scuola è il principale investimento di un Paese e noi alla scuola pubblica non possiamo permetterci di rinunciare, soprattutto in considerazione dell’enorme debito pubblico che stiamo lasciando sulle spalle delle giovani generazioni, alle quali non possiamo sottrarre oggi il diritto allo studio – dai livelli basilari a quelli più alti della formazione – e all’accesso a una condizione di lavoro dignitosa e qualificata. Questo è un fatto di cristallina evidenza.
Il Piano Scuola 2020/2021 presentato il 23 giugno dal Ministero dell’Istruzione va invece nella direzione diametralmente opposta.
La decisione di affidare l’organizzazione della ripartenza alla flessibilità delle singole scuole, ai singoli collegi dei docenti, alla didattica a distanza, allo smembramento del corpo classe e alla turnazione istituzionalizzate in una scuola definitivamente concepita come ‘ibrida’ e asociale, al raggruppamento delle discipline in aree e orari ridotti che contraggono il tempo necessario a qualunque approfondimento, alle risorse inegualmente disponibili sul territorio, il tutto praticamente a costo zero perché i finanziamenti previsti sono irrisori, è inaccettabile, perché contraria a qualunque ragionamento culturale, politico ed economico volto a salvare il Paese da un declino antropologico davvero irrecuperabile.
E’ una decisione vergognosa, pilatesca, indegna di un Paese evoluto e civile e del Governo che lo rappresenta. Parlare di “sussidiarietà e corresponsabilità educativa” significa di fatto delegare in toto ai privati, agli enti locali, al volontariato, al terzo settore l’impegno formativo che la Costituzione assegna alla scuola pubblica statale. Con tutte le conseguenze, non solo pedagogiche ma anche economiche e sociali che questa condizione di rinuncia comporterà per i giovani, nell’accesso ai saperi, nella formulazione delle loro scelte culturali e professionali e nei processi di soggettivazione personale e civica.
L’autonomia scolastica, già fortemente criticabile per l’iniqua frammentazione culturale e gestionale che ha determinato nei vent’anni della sua applicazione, non può oggi, in questa situazione di drammatica emergenza, essere spinta al punto tale da consentire a un Ministro dell’Istruzione, a un Governo, a un Parlamento di calpestare la Costituzione, di cancellare le proprie responsabilità istituzionali, di annullare qualunque reale impegno concreto e significativo in nome di un inaccettabile e scellerato ‘fai da te’.
La scuola della Costituzione non è la scuola dei “patti territoriali di comunità”. Non è la scuola del volontariato, della filantropia e dell’associazionismo sociale. Non è la scuola esternalizzata e precarizzata, che ci può essere o non essere a seconda della generosità casuale e delle risorse pubbliche o private dei singoli o dei territori. La scuola della Costituzione è un’istituzione della Repubblica e in quanto tale va garantita con investimenti statali ordinari e straordinari adeguati alle esigenze dell’intero Paese e alle condizioni reali poste dalle diverse contingenze storiche.
Essa è il luogo fisico in cui bambini e adolescenti apprendono nella socialità e in presenza, in uno spazio fisico di libertà dai bisogni materiali e dalle ideologie imperanti – politiche, economiche, tecnicistiche – nel rispetto della laicità, della democrazia, del pluralismo e del confronto delle idee, delle pari opportunità nell’accesso ai saperi e nel progetto di vita che solo una scuola statale adeguatamente e regolarmente finanziata dall’amministrazione centrale può e deve garantire.
Ci rivolgiamo al Presidente della Repubblica, al Presidente del consiglio, alla Ministra dell’Istruzione, al Governo e al Parlamento: il Piano Scuola 2020/2021 va riformulato su un unico e prioritario obiettivo, che veda a settembre una scuola pubblica aperta e viva, valorizzata, arricchita, aumentata, e non definitivamente dismessa, esternalizzata, impoverita e distrutta. Assunzione immediata di docenti e personale non docente, in grado di coprire l’intero fabbisogno di classi con non più di 15 alunni, solo momentaneamente allocate anche in strutture extrascolastiche; apertura immediata di cantieri preposti al recupero, all’ampliamento e alla costruzione di nuove aule, palestre, laboratori, con criteri di efficienza energetica e bioedilizia; archiviazione di ogni forma di didattica a distanza, da considerarsi esclusivamente come strumento di emergenza o in grado di soddisfare specifiche necessità, e non come equivalente della didattica in presenza, unica, insostituibile e irrinunciabile con le creature piccole, i bambini e gli adolescenti.
Non lo chiediamo solo come docenti o come studenti. Lo chiediamo in nome e per conto dei 60 milioni di cittadini di un Paese che non vuole definitivamente rinunciare ad avere una prospettiva di futuro che ancora si possa definire ‘umano’.