ROSSELLA LATEMPA Misurare le soft skills: la Scuola come fabbrica di cittadini «di successo»

[Roars, 24 ottobre 2018]

Perché la diade OCSE-INVALSI ci tiene così tanto a misurare le soft skills? Dalla lettura dei rapporti internazionali OCSE emergono decine, centinaia di possibili correlazioni tra diversi tratti del carattere di bambini-adolescenti e il loro “successo” da adulti. Se sei un americano bianco, maschio e diplomato e sei “forte” nelle soft skills misurate hai una probabilità 4 volte maggiore di finire l’Università rispetto a chi è dotato di soft skill “più ordinarie”. Se invece sei neozelandese e hai 20 anni (ma proprio 20) hai una probabilità doppia di essere “molto felice”. Se sei inglese e hai “basse soft skills“, probabilmente ingrasserai.
Ancora: meno elevata è la tua “coscienziosità” e più facilmente tenderai a bere, fumare, fare uso di droghe, guidare male, avere comportamenti sessuali rischiosi (to do risky sex), essere violento. Nelle tue soft skills è racchiuso il tuo futuro. Misurarle e “incrementarle” -fin da piccolo- è la chiave per costruire un cittadino di successo e felice. Siamo di fronte ad una vera e propria Nuova Utopia Sociale: l’idea che un intervento “correttivo” (selezione di ambienti più favorevoli al modello) possa perfezionare quei disordini non necessari, quei tratti del carattere meno efficaci per il benessere (tornaconto) di tutti. La costruzione di un uomo nuovo all’altezza degli standard di concorrenza: sano, emotivamente stabile, coscienzioso, che non si drogherà, non fumerà, non berrà in eccesso, avrà rapporti sessuali stabili e protetti, guiderà con prudenza, mangerà biologico e non dirà mai parolacce. Questo post è il secondo dei tre dedicati alla nuova “misura” delle soft skills: performatività, controllo delle emozioni, coscienziosità, apertura mentale, “pensiero critico”. Questi solo alcuni dei tratti del “carattere” che la diade OCSE-INVALSI ci assicura di poter misurare. Nella prima parte, abbiamo visto che sono in partenza due progetti di “misura” delle competenze socio-emotive a partire dai 6 anni.

Nel giugno del 2008, C. Anderson, ex editore del Wired Magazine scriveva un articolo provocatorio dal titolo “Fine della teoria: il diluvio di dati rende obsoleto il metodo scientifico”, in cui illustrava una vera e propria “nuova filosofia”: la possibilità di utilizzare algoritmi e modelli matematici per esplorare enormi database contenenti ogni tipo di informazione (comportamenti, caratteristiche linguistiche, sociologiche), alla ricerca di correlazioni o regolarità, senza più la necessità di procedere in modo ipotetico-deduttivo, e quindi scientifico. Meno ottimista il prof. J. P.Ioannidis, autore nel 2005 di un articolo dal titolo “Perché molti risultati scientifici pubblicati sono falsi” e promotore nel 2017 del “Manifesto per la riproducibilità della scienza”, che ha puntato il dito sulla credibilità della scienza nell’era dei Big Data e della competizione globale tra scienziati (“Migliaia di ricercatori pubblicano un articolo ogni 5 giorni”), in particolare in quel campo di studi che chiama “osservazionali”, ossia empirici e “privi di una vera e propria fase sperimentale[1]. In campo psicologico, ad esempio, nel 2015 un gruppo di 270 studiosi guidati dal professore di psicologia B. Nosek, cofirmatario del Manifesto di Ioannidis, ha tentato di riprodurre i risultati di 100 studi di psicologia pubblicati negli ultimi anni, riuscendo a farlo in meno della metà dei casi e con percentuale più bassa nel campo della psicologia sociale. I rischi di errori e pregiudizi e l’impiego di tecniche di “estrazione di conoscenze dei dati” (data mining) aumentano al crescere della quantità di dati a disposizione e della loro complessità. Come si dice, d’altra parte: “Se torturi i dati abbastanza a lungo, ti confesseranno ogni cosa” (R. Coase, economista).

Cercare criteri di semplicità per interpretare un fenomeno vasto e articolato è umano. Trovare regolarità e “connessioni” (correlazioni) tra particolari “attributi” (variabili) riferiti a “sistemi” sempre più complessi, diventa pseudo-scienza: “Con dati a sufficienza, i numeri parlano da soli” (C. Anderson), e non c’è più bisogno di alcuna teoria.

Dovrebbe essere patrimonio comune ciò che si insegna nei corsi scientifici fin dai primi anni. E cioè che una correlazione, ossia un certo grado di “corrispondenza”, di “relazione” tra due variabili, non esprime necessariamente un rapporto di causa-effetto (causalità). In generale, la correlazione tra due fenomeni, ossia la loro tendenza a variare insieme (co-variare), “è essenzialmente co-incidenza[2], ossia osservazione che essi accadono insieme. Alcune correlazioni possono essere utili per predire o modificare il valore di una variabile, intervenendo sull’altra.

Parte-II-Fig.1

Un’alta correlazione, tuttavia, può essere dovuta semplicemente al caso (vedi Fig.1) o al fatto che le variabili osservate hanno una causa comune[3].

Parte-II-Fig2

Uno studio del 1992 dell’Università dell’Illinois[4] ha messo in evidenza una correlazione tra risultati scolastici di 56.000 studenti e la loro propensione al bere. Pare che più gli studenti bevessero, peggiori fossero le loro medie scolastiche (Fig. 2, dove “GPA” sta per media risultati scolastici e, per la verità, “drinks per week” starebbe per “dichiarazione raccolta dagli studenti, relativa al numero di bibite alcoliche consumate in una settimana”, che ovviamente può non corrispondere alla realtà dei fatti).  Da un simile grafico, potremmo pensare sia corretto dedurre -o trovar scritto sui quotidiani – che gli abbandoni scolastici dell’Illinois dipendono dal consumo di alcool degli adolescenti (uno studente che beve 6 birre a settimana ha una media da bocciatura garantita).

Da ogni tipo di correlazione può scaturire una previsione. L’esistenza di una co-varianza tra due variabili, tuttavia, nulla ci dice circa le cause della loro relazione. Riferendoci, ad esempio ai dati dell’Illinois, nulla ci dice “se la correlazione trovata è dovuta al fatto che 1) l’alcool rende stupidi; 2) chi beve tende ad appartenere ad una fascia sociale più debole; 3) dopo le sbornie aumentano le assenze; 4) gli studenti che vanno male a scuola, preferiscono bere per dimenticare[5]. I motivi alla base di una correlazione sono “in numero limitato solo dall’ immaginazione e dall’ingegnosità nell’ elucubrare le ragioni possibili[6]. Spesso non importano nemmeno le ragioni alla base di una correlazione, più di quanto non importi la previsione che si intende promuovere.

I due studiosi di linguistica Roberts e Winters, in un recente lavoro [7], presentano una serie di esempi di correlazioni “sorprendenti” del filone di studi definiti nomotetici, ossia analisi statistiche su vasta scala di dati cross-culturali. Ad esempio, legami tra consumo di cioccolata e numero di premi Nobel, o tra sistema grammaticale di una data lingua e propensione al risparmio di chi la parla, tra qualità del suono di una lingua e propensione al sesso extraconiugale. Si tratta, incredibilmente, di studi tutti pubblicati su riviste internazionali e oggi resi possibili grazie agli enormi database su larga scala e alle potenti tecniche statistiche di cui gli scienziati sociali si servono per studiare diversi fenomeni culturali. I problemi con questo genere di analisi sono molteplici. A parte le correlazioni spurie, tanto più probabili quanto maggiore è il numero di dati manipolati, l’oggetto di queste indagini è sempre fortemente “agganciato” alle diverse culture e realtà geografiche, mentre i dati trattati sono spesso, e necessariamente, “a grana grossa”. Gli studiosi affermano che “è possibile trovare evidenze apparentemente rigorose per ogni ipotesi. E si è anche tentati di adattare ipotesi fatte a posteriori (post-hoc) alle correlazioni che spuntano dagli studi nomotetici”. L’aleatorio, il caso, “si infiltra inevitabilmente nei grandi insiemi numerici, rendendo pericolosa qualsiasi predizione fatta senza il ricorso ad una ipotesi di pensiero […] necessario per comprendere e, se possibile, predire. La forza della conoscenza scientifica sta proprio nel fatto di saper riconoscere i limiti di ogni teoria[8].

La matematizzazione dell’essere umano

Cosa accadrebbe se si pensasse di poter misurare nelle scuole il “carattere” di un essere umano, come i recenti studi OCSE -ai quali INVALSI aderisce- immaginano di fareQuali e quanti tipi di correlazioni con una serie di altre variabili socio-demografiche, o economiche potrebbero risultare? E come potrebbero esser utilizzate da un punto di vista politico o educativo queste correlazioni[9]?

Legami tra fenomeni facilmente comprensibili, ma ipersemplificati, sono in grado di ricevere un’enorme attenzione da parte dei media e dei governi, influenzando massicciamente l’opinione pubblica, fino a diventare (la storia del cosiddetto PISA – shock ci insegna) strumento di indirizzo politico.

Nella vasta letteratura raccolta dai rapporti OCSE (vedi I parte) si afferma che sia le competenze cognitive che quelle sociali ed emotive “giocano un ruolo significativo nel miglioramento dei risultati economici e sociali” di un paese, “interagendo e fecondandosi a vicenda[10]. Gli esempi riportati dall’Organizzazione sono tantissimi.

Nella lettera inviata alle città dei paesi partecipanti allo studio (vedi I parte) sulle socio-emotional skills nelle scuole (tra cui, ricordiamo, anche l’Italia) sono riportati diversi risultati che vorrebbero dimostrarci (neanche fossero una prova scientifica) l’importanza delle soft skillsnel futuro dei giovani. Ad esempio, si scopre che tra i giovani americani (bianchi, maschi e diplomati)  del campione intervistato durante una passata ricerca  dell’OCSE, quelli “forti” nelle soft skills misurate[11] (rettangolo arancione) hanno probabilità circa 4 volte maggiore di finire l’Università rispetto a chi è dotato di soft skill “più ordinarie” (rettangolo verde scuro) (Fig. 3a). Oppure che (Fig 3b) la probabilità di essere “molto felice” in Nuova Zelanda se hai 20 anni raddoppia quando hai le giuste competenze emotive.

Parte-II-Fig3

Pare anche che i giovani con “basse soft skills” in Inghilterra ingrassino il doppio (Fig. 4a) o in Svizzera inizino presto ad avere qualche problema con la legge (Fig. 4b).

Parte-II-Fig4

In Fig.5[12], invece, si evidenziano le correlazioni – tutte negative – tra il grado di coscienziosità del campione intervistato[13]  (misurato anche per “sfumature”, come si vede a destra, in tonalità diverse di blu) e una serie di comportamenti dannosi per la salute. In sostanza, meno zelante e coscienzioso sei, più facilmente tenderai a bere, fumare, fare uso di droghe, guidare male, avere un comportamento sessuale rischioso, essere violento.

Parte-II-Fig5

Anche in campo lavorativo le soft skills sembrano importanti almeno quanto le hard skills[14]. Le competenze socio-emotive influiscono in maniera determinante sul rendimento lavorativo: i giovani più coscienziosi, estroversi, disponibili e stabili emotivamente sono più orientati al risultato, organizzati e non disturbano al lavoro (vedi fig. 6) [15] . Tra le competenze misurate, è sempre la “coscienziosità” quella che conta più delle altre (rettangolo verde).

Parte-II-Fig6

Non solo è possibile collegare diversi tratti della personalità a determinati risultati lavorativi, educativi o comportamentali. Addirittura, si possono quantificare gli effetti “cumulativi” e persistenti delle varie soft skills al variare dell’età (Fig. 7)[16]: più si invecchia, più si diventa coscienziosi, gradevoli ed equilibrati. Ma si ha anche più voglia di starsene un po’ per i fatti propri.

La Grande Utopia Globale

utopia

Le centinaia di correlazioni e grafici raccolti dall’OCSE, ed evidentemente avallate in Italia dall’INVALSI, che aderisce ai progetti di misura delle soft skills, tratteggiano una vera e propria Nuova Utopia Sociale.

Non solo un etichettamento descrittivo dei diversi tipi umani, ma soprattutto l’idea che con un intervento[17] correttivo “sinergico” (scuola, famiglia, comunità) si possano perfezionare quei disordini non necessari, quei tratti del character ritenuti meno efficaci per il benessere (parola chiave della Neolingua, che potremmo sostituire con “tornaconto”) di tutti. Una vera e propria nuova ideologia dell’ interiorità.

Un protocollo universale: una valutazione totalitaria che, definito a priori il modo di essere giusto e quello sbagliato, misura, compara, approva o respinge; promette la costruzione di un uomo nuovo all’altezza degli standard di concorrenza.  Un essere sano, emotivamente stabile, aperto agli altri e coscienzioso, che non farà uso di droghe, non fumerà, non berrà in eccesso; avrà rapporti sessuali stabili e protetti, guiderà con prudenza, mangerà sano e non dirà parolacce. Un soggetto dall’esistenza senza intoppi, senza malattie, tristezze, sbalzi d’umore o passioni sfrenate, educato fin dall’infanzia ad aspirare a quegli attributi che il realismo capitalista (M. Fisher) impone. Un individuo definitivamente de-politicizzato, motore perfetto del suo capitale umano.

Ebbene”, griderebbe a gran voce il Selvaggio, personaggio del Mondo Nuovo (A. Huxley) “io rivendico il diritto di essere infelice!

 

[1] http://www.repubblica.it/venerdi/interviste/2017/01/23/news/ioannidis_manifesto_anti-bufale_scientifiche-156691206/

[2] C. S. Calude and G. Longo “The deluge of spurious correlations”, in Foundations of Science, pp. 3, 2016.

[3] L’aumento degli incidenti stradali e dell’uso di ombrelli, per fare u esempio, sono entrambi correlati all’aumento delle precipitazioni.

[4] Ivi, pag. 4

[5] Ivi, pag. 4.

[6] Ivi, pag.4.

[7] S. Roberts and J. Winters “Linguistic diversity and traffic accidents: lessons from statistical studies of cultural traits”, 2013 https://journals.plos.org/plosone/article?id=10.1371/journal.pone.0070902

[8] G. Longo, Entretien “Complexité, Science et democratie », 2016 http://www.di.ens.fr/users/longo/files/LongoEntretienDemocratScie.pdf

[9] Per una rassegna documentata delle recenti tendenze a ridurre lo studio di complessi processi economici o sociali a modelli matematici semplificati, si veda F. Sylos Labini: “Rischio e previsione”, Editori Laterza, 2016.

[10] OECD 2015 : “Skills for social progress: the power of socio-emotional skills”, pag. 14. https://nicspaull.files.wordpress.com/2017/03/oecd-2015-skills-for-social-progress-social-emotional-skills.pdf

[11] Per approfondimenti su quali soft skills siano state prese in considerazione e caratteristiche della ricerca si veda il rapporto citato in figura, box. 3.1, pag. 49 e seguenti.

[12] OCSE 2018: “Social and emotional skills for student success and well-being”, pag 70.

[13] La competenza di riferimento qui è la conscientiousness, con i suoi vari facets, le varie sfaccettature. Vedi maggiori dettagli in rapporto OCSE 2018: “Socio emotional skills for students success and well being”, pag. 69.

[14] Rapporto OCSE “Social and Emotional Skills – Well being, connectedness and success”, pag 12 https://www.oecd.org/education/school/UPDATED%20Social%20and%20Emotional%20Skills%20-%20Well-being,%20connectedness%20and%20success.pdf%20(website).pdf

[15] Ivi, pag. 13

[16] OCSE 2018: “Social and emotional skills”, cit.pag 52.

[17] Oltre agli interi rapporti OCSE citati nella prima parte, si veda, ad es. https://www.oecd.org/education/school/UPDATED%20Social%20and%20Emotional%20Skills%20-%20Well-being,%20connectedness%20and%20success.pdf%20(website).pdf  pagg. 15 e seguenti.

 

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