Leggo che il neo ministro dell’istruzione ha dichiarato che l’alternanza scuola-lavoro va mantenuta perché fa bene al paese. Forse dovremmo dire che fa bene a mantenere alta la pressione sociale indotta dalla disoccupazione perché per ogni posto di lavoro sostituito da uno studente-lavoratore, obbligato a lavorare senza retribuzione, è un posto di lavoro sottratto a un lavoratore.
È un istituto che dequalifica più che qualificare proprio perché avalla un sistema di continua rotazione dei lavoratori e quindi la possibilità per le imprese di non investire in formazione continua con lavoratori più stabili. È anche un sistema che avvicina i giovani al mondo del lavoro nella totale assenza di diritti: si abituano fin da subito ad accettare di non esser retribuiti a non avere i diritti minimi come ferie malattie a non avere una vera formazione. Ma anche a vedere la morte in faccia mentre lavorano.
È uno di quegli istituti che così concepiti (versione Buona scuola) manterrà e inasprirà le diseguaglianze tra chi proviene da una zona dove esiste domanda di lavoro e quelle dove non esiste e quindi ci si abitua fin da subito a pensare che il lavoro è quella cosa che si accetta perché non c’è alternativa. E inasprisce anche le diseguaglianze interne alla stessa zona tra chi frequenta scuole “centrali” con buone relazioni e chi invece quelle “di periferia” dove le reti sono inferiori. E così che si ferma ancora una volta la possibilità della mobilità sociale.
È un istituto che avalla l’inerzia di un sistema produttivo in costante declino, piuttosto che rilanciarlo proprio a partire dalla scuola. Pensateci: uno stato che finanzia i migliori processi e macchinari di alcuni settori e poi li mette a disposizione dei lavoratori…(vabbé lasciamo perdere..)
Infine, è un istituto che fa bene a chi pensa (e ha tutto l’interesse di sostenere) che il lavoro debba sostituirsi alla conoscenza e non che la conoscenza sia prerogativa democratica imprescindibile di ogni lavoratore.