I
A 17 anni è entrato a far parte della Lega nord. Ma frequentava anche il Leoncavallo. In seguito ha dichiarato che andava al centro sociale solo per «chiacchierare, bere e ascoltare musica»
Dopo il diploma si è iscritto a scienze politiche, prima di passare al corso di laurea in scienze storiche. Non ha terminato gli studi universitari e non ha mai avuto un lavoro a tempo pieno, anche perché la sua vera passione era la politica. A vent’anni è stato eletto consigliere comunale di Milano con la Lega nord ed è diventato il leader della corrente dei comunisti padani. La prima svolta nella sua carriera politica è arrivata nel 1999, quando è stato incaricato di dirigere Radio Padania, l’emittente del partito.
Ai tempi di Radio Padania la rabbia di Salvini non era diretta contro Bruxelles, ma contro Roma e più in generale contro gli italiani del sud.
Nel 1999 si è rifiutato di stringere la mano a Carlo Azeglio Ciampi, che all’epoca era presidente della repubblica, dichiarando «No, grazie, dottore. Lei non mi rappresenta». Nel 2011 boicottò i festeggiamenti per il 150° anniversario dell’unità d’Italia.
Nel 2013 è stato eletto segretario del partito, dopo che la Lega nord aveva ottenuto il 4 per cento alle elezioni legislative. Era convinto che l’unico modo per far sopravvivere la Lega nord fosse trasformarla in un partito nazionalista di estrema destra. Sotto la guida di Salvini sono scomparsi gli attacchi contro il sud, sostituiti dalle invettive contro l’Europa, e il partito si è avvicinato sempre di più alle idee di Marine Le Pen in Francia e di Vladimir Putin in Russia.
La crisi dei migranti, con più di 60000 persone salvate nel Mediterraneo negli ultimi 4 anni ha favorito il successo di Salvini. Con la sua martellante retorica xenofoba ha saputo approfittare delle paure degli italiani per i nuovi arrivati.
James Politi, Le tante svolte di Matteo Salvini, «Financial Times», tradotto da «Internazionale», maggio 2018
II
Salvini si è accaparrato il ministero dell’interno, un dicastero importante e ora è il responsabile della polizia, della sicurezza nazionale e delle politiche migratorie. Non è il presidente del consiglio ma non ha bisogno di esserlo.
Quando nel 2013 Salvini ha preso il controllo della Lega, che allora si chiamava Lega nord, il partito era quasi scomparso ed era impantanato negli scandali per corruzione. Il suo elettorato era ridotto a un’esigua minoranza di autonomisti del Nord. Quando l’Europa ha cominciato a doversela vedere con un flusso senza precedenti di migranti dal Medio Oriente e dell’Africa, Salvini non ha perso tempo e ha ampliato il messaggio della lega virando verso il nazionalismo. Ha capitalizzato la frustrazione degli italiani per un’economia affossata dal debito pubblico, una crescita rallentata e una disoccupazione giovanile superiore al 30 per cento, coniando un nuovo slogan ispirato a Trump, «prima gli italiani».
Il suo messaggio ha avuto un tempismo perfetto. Anni di incapacità a governare avevano lasciato sia la destra nazionalpopolare di Silvio Berlusconi sia il centrosinistra di Matteo Renzi con seri problemi di credibilità.
Salvini ha messo le politiche migratorie al centro della sua campagna elettorale. Ha fatto l’improbabile promessa di espellere dall’Italia 500.000 migranti senza documenti, più o meno tutti quelli approdati sulle coste italiane dal 2015. Ai migranti in attesa di imbarcarsi sull’altra sponda del Mediterraneo ha fatto sapere che «la pacchia è finita».
Come spesso accade con le migrazioni, la percezione non corrisponde alla realtà. Il flusso di migranti che attraversano il Mediterraneo è molto diminuito del picco della crisi: dal milione del 2015 agli appena 89.000 entrati nel 2018 in Europa quest’anno.
Vivienne Walt, Una minaccia per l’Europa, «Time», tradotto da «Internazionale», 1274, 21 settembre 2018
III
Per ora la maggioranza degli elettori lo segue, ma di solito gli italiani si innamorano dei politici in modo tanto intenso quanto breve. Il cadavere di Mussolini finì esposto a testa in giù di fronte al popolo milanese che gli sputava addosso. Il socialista Bettino Craxi, astro degli anni ottanta, dopo la caduta fu bersagliato di monetine mentre si avviava verso l’esilio tunisino. Matteo Renzi, che si era presentato come salvatore nel 2014, è stato fermato da un referendum dopo meno di 2 anni ed è stato coperto di scherno.
Walter Mayr, Matteo Salvini mette l’Italia in pericolo, «Der Spiegel», tradotto da «Internazionale», 26 ottobre 2018
IV
Il difetto politico più grande di Salvini è che non fa un cazzo. In parlamento, al ministero, ovunque: non gli va di fare un cazzo. In questi giorni si è visto in modo plateale: mentre il suo collega di partito Zaia è entrato in una modalità post-terremoto, coordinandosi con la protezione civile per l’apocalisse ambientale che c’è in Veneto (un disastro superiore a quello dell’alluvione del ’66, ormai è evidente), Salvini continuava con l’unica cosa che gli interessa e sa fare: le dirette Facebook ciao amici, le foto a quello che magna e beve. Se questo populismo da vitellone crea consenso nella maggior parte dei casi, e se Salvini ha gioco facile a vincere per contrasto con politici che hanno la stessa caratura di quelli che si fermano in autostrada a guardare gli incidenti (vedi Toninelli a Genova), è vero che nella tragedia la sua retorica me so fatto uno spaghetto & ruspa ai negri, non funziona. Funziona Zaia e chi ha la capacità di rendere credibili le istituzioni.
Questo difetto politico gigantesco sarà quello che lo stroncherà: il narcisismo fancazzista. Il difetto di molti politici contemporanei, in grado di raccogliere consensi impensabili e di dilapidarli in un lampo.
Post di Christian Raimo, 4 novembre 2018