Da Un anno sull’altipiano, cap. 11
– Il nostro maggiore, – disse Mastini, – non è un cattivo ufficiale. Spesse volte è coraggioso e, qualche volta, anche intelligente. Ma se gli manca il cognac, è incapace di muovere un passo durante un’azione.
– Ti ricordi, – gli disso io, – di Pareto? Come beveva! E che intelligenza! I professori ne erano ammirati, tutti. Non era forse lo studente di maggior ingegno, all’Università? Ma, se non beveva, niente esami. Un po’ come il tuo maggiore. Senza cognac, niente combattimenti.
La conversazione scivolava mollemente sui ricordi della nostra vita universitaria, che ci appariva così lontana: un sogno. Egli rievocò una nostra festa goliardica, rimasta celebre, perché la vernaccia era vecchia e perfida, e il Magnifico Rettore s’era messo a cantare da basso, e una matricola aveva abbracciato la moglie del Prefetto.
– Ma anche to bevi molto, ora? – gli chiesi. – Si dice che al vostro battaglione, bevete tutti come spugne.
Per tutta risposta, e con una mossa rapida, come se la mia domanda gli avesse ricordato improvvisamente un oggetto fino ad allora dimenticato, slacciò la borraccia e bevette qualche sorso. Era certamente del buon cognac, perché io sentii un odore insopportabile di polvere da caccia.
– Io, – disse rimettendo il turacciolo alla borraccia, adoro l’Odissea d’Omero perché, ad ogni canto, è un otre di vino che arriva.
– Vino, – dissi io, – e non cognac.
– Già, — osservò, è curioso. È veramente curioso. Né nell’Odissea né nell’Iliade, v’è traccia di liquori.
– Te lo immagini, – dissi, – Diomede che si beve una buona borraccia di cognac, prima di uscire di pattuglia?