[Apprendere sempre – il blog di Gianni Marconato, 19 novembre 2021]
La scuola vorrebbe cambiare, inseguendo un’innovazione che non è sostanziale, perché è cambiato il modo di apprendere dei giovani (1): nulla di più sbagliato perché la scuola vorrebbe cambiare solo per adeguarsi alle richieste dei giovani che crescono in una civiltà dei consumi di massa e che domandano un “prodotto” educativo che sia di consumo semplice, facile e veloce. Questa è, però una scuola che tradisce se stessa, che gioca al ribasso, che adotta una strategia difensivistica. È una scuola che ha deciso di rinunciare ad una proposta culturale che richiede tempo, capacità di ascolto, osservazione, riflessione. Questa, la scuola di massa, crea le condizioni all’avvento della scuola delle élite.
LA SCUOLA ATTUALE NON È AL PASSO CON I CAMBIAMENTI DELLA SOCIETÀ? A SCUOLA SI FA UNA DIDATTICA FALLIMENTARE?
LA RICHIESTA DI INNOVARE, A PARTIRE DAI RISULTATI NON LUSINGHIERI NELLA SCOLARITÀ, HA UNA SUA REALE MOTIVAZIONE?
QUESTA RICHIESTA PARTE DA UN’ANALISI CORRETTA DEL PROBLEMA?
LA SCUOLA “DEMOCRATICA”, PER TUTTI, QUELLA CHE HA PRESO FORMA NELLA SOCIETÀ DEI CONSUMI DI MASSA È DIVENTATA LA SCUOLA DI MASSA, UNA SCUOLA CHE GIOCA AL RIBASSO E CHE LASCIA SPAZIO ALLA SCUOLA DELLE ELITE?
Recentemente, in un libro scritto con il sociologo Ricolfi, suo marito (Il danno scolastico, la scuola progressista come macchina di diseguaglianza) Paola Mastrocola dice che la scuola si rivolge alle prime file della classe.
Un inciso: quando parliamo oggi di “scuola” dobbiamo intenderci di quale scuola parliamo: la scuola che possiamo chiamare “tradizionale”, quella che punta, o che vorrebbe puntare, a sviluppare cultura, conoscenza per la conoscenza, quella che ha come finalizzazione lo sviluppo dell’intera persona? Oppure quella che possiamo chiamare “innovativa”, che punta a favorire lo sviluppo di conoscenza utile, che pensa prioritariamente a fornire le competenze per accedere al lavoro? Quella che ritiene che senza fatica non si impari o quella che non è necessario far fatica per imparare? Quella delle conoscenze disciplinari o quelle delle competenze? Ho certamente semplificato nel delineare le tipologie di scuola (si potrebbe scrivere un libro), quel che è certo è che non esiste una sola scuola … almeno nelle intenzioni. Unico tratto comune: tutte puntano al bene dello studente. Evidentemente ci sono idee differenti su quale sia il bene dello studente.
Anticipando le conclusioni si possono identificare due questioni centrali, un’evidenza e una scelta:
- Nel contesto socio – culturale in cui viviamo da una ventina d’anni la scuola ha abbandonato il suo scopo primario di tramandare i valori di una cultura perché i giovani non condividono più il medesimo paradigma culturale
- La scuola, preso atto di questo cambiamento antropologico, deve colludere con la nuova cultura e assumendo un atteggiamento difensivistico per garantirsi un ruolo (e la sopravvivenza), adattarsi alle richieste della società e compiere essa stessa un cambiamento genetico oppure cercare di arginare la deriva della perdita di centralità della persona e di vedere la persona come produttore e consumatore?
Il punto vero è che in questa società la cultura, l’arte, la conoscenza, la bellezza non sono più criteri fondanti della civiltà e della società (ed è comprensibile che sia così nella società dei consumi massa), quindi, per quanto ci si sforzi di innovare e di rendere efficace la didattica, di fatto il cambiamento antropologico delle ultime due generazioni rende inservibili questi strumenti.
Sotto la spinta di numerosi fattori, sono completamente cambiati i riferimenti valoriali e, di conseguenza, anche la sensibilità, l’interesse per tutto ciò che è cultura, conoscenza, bellezza, arte.
Cosa penserebbe un invasore alieno del tutto differente da noi di una rosa in boccio o della Pietà di Michelangelo? Riuscirebbe a cogliere la bellezza nel viso di una donna bellissima?
Questo è quanto succede a sempre più ampie fasce di giovani insensibili al bello, anche se iper bombardati di informazioni attraverso una scuola sempre più “inclusiva”.
La dimostrazione del cambiamento antropologico sta nel fatto che la didattica, anche quella buona, non può praticamente nulla quando si scontra con un paradigma totalmente differente, con valori che vengono costruiti altrove da agenzie ben più potenti ed efficaci nel costruirli e promuoverli. Pensiamo alla televisione, ai valori che trasmette, ai comportamenti vincenti, alla comunicazione nei social network, agli influencer globali e di paese.
Se un giovane è educato al paradigma del consumo semplice, facile e veloce, come può valorizzare ciò che richiede tempo, capacità di ascolto, osservazione, riflessione? Semplice: non può. Non è sensibilizzato a questo atteggiamento, non è “programmato” per questo.
E la scuola, quella che vorrebbe costruire cultura, sapere solido, non riesce a “riprogrammare” i giovani in tal senso perché non ha armi, cioè non ha una “merce da vendere” che sia più accattivante del facile e rapido consumo.
La scuola, come la abbiamo sempre conosciuta, fonda il suo intervento su un paradigma fatto a pezzi dalla civiltà dei consumi.
È per questo che internet anziché essere una grande opportunità di conoscenza per tutti, e quindi di democrazia, è diventata la migliore arma in mano alla nuova cultura del consumo. Che è già egemone in ogni campo.
Attenzione: la scuola non è rimasta immobile di fronte ai cambiamenti di cui ho parlato, ma è cambiata però nella prospettiva di inseguire la cultura di massa per cercare di arginare il disastro e per cercare di legittimarsi nel nuovo scenario. Questa scuola mente a se stessa quando afferma di farlo, perché è una guerra persa in partenza.
I riferimenti culturali su cui si basa la scuola, l’idea di istruzione sono quelli del canone occidentale classico, che però è entrato in crisi da almeno 40 anni ed è definitivamente crollato con l’avvento di internet.
Questa generazione fonda la sua visione del mondo e la sua epistemologia su una piattaforma culturale che non è quella su cui si fonda la scuola. Cambia il sistema di valori, la rappresentazione del mondo, le priorità, i linguaggi…
Quello che la scuola fa con le didattiche cosiddette innovative è solo tentare di inseguire questa generazione, rendendosi accattivante e non comprendendo che il problema non è essere accattivante. Il problema è che la scuola così concepita, come agenzia che trasmette un assetto culturale, con il suo sistema di valori e di linguaggi, è morta.
È morta perché morta è quella cultura.
Questa cultura sembra simile, ma è completamente diversa, sia nella rappresentazione del mondo, sia nei principi etici ed estetici. Quindi, rincorrere i giovani scimmiottandone i linguaggi e i temi nella speranza di far passare qualcosa che sia totalmente diverso ormai è fallimentare. Ma è evidente che sia cosi.
Se si ha l’onestà intellettuale di stare in classe non raccontandosi che basta capovolgere la classe o mettere banchi a rotelle o usare le tecnologie o altre diavolerie didattiche “innovative” per rendere accattivante l’idea di scuola, allora questa cosa la si vede.
La scuola “nuova” non dovrebbe, pertanto, perseguire la finalità di interiorizzare in profondità contenuti complessi per costruirsi un’identità attraverso l’apprendimento curricolare? Dobbiamo rassegnarci all’idea che il sistema di formazione delle generazioni giovani da parte di quelle più anziane e finalizzato alla trasmissione del patrimonio culturale sia definitivamente saltato?
Voler mantenere in vita una scuola costruttrice di cultura avrebbe il sapore un rituale che perpetua se stesso senza che vi sia reale significato?
Ho la sensazione che con questo cambiamento antropologico sia saltato il modello di scuola di massa che coltivava l’utopia dell’acculturazione delle masse e della produzione di democrazia attraverso la cultura.
La “scuola di massa” è così diventata una scuola senza troppe pretese di acculturazione e che si limita a fornire ai più poche, essenziali, conoscenze, quelle che servono ad essere prioritariamente un bravo produttore e consumatore. La nuova “cittadinanza” avrà, pertanto, questi contenuti: un’istruzione essenziale per fronteggiare responsabilmente le richieste dell’economia e per poter partecipare ai consumi necessari al mantenimento dell’economia. L’inclusione in questa scuola si concretizza come opportunità per tutti di partecipare al ciclo produzione – consumo.
Lo stabilirsi della scuola di massa frutto dell’inseguimento delle richieste, anche implicite, dello studente che vive immerso nel consumo semplice, facile e veloce, lascia spazio alla scuola delle élite, élite prima culturali, poi sociali, politiche ed economiche.
Anche se la diagnosi è sbagliata, le conclusioni di Ricolfi e Mastrocola sono corrette: questa scuola (la scuola “innovativa” non la scuola progressista) è una macchina di diseguaglianza. E non se ne è accorta.
note
(1) questo è quanto affermano alcuni. In realtà il cervello non è cambiato almeno negli ultimi mille anni. Oggi abbiamo qualche conoscenza in più su come si impara grazie, anche, agli studi dell’apprendimento umano in situazioni reali andando oltre lo studio dell’apprendimento animale per poi trasferire sulle persone gli esiti di quegli studi.