L’autore di questo libro dedicato ad un’analisi critica dei fondamenti culturali delle “riforma Berlinguer” è Lucio Russo. L’autore non è un pedagogista di professione, ma un professore universitario di fisica, con al suo attivo numerosi studi di storia della scienza. L’interesse per il mondo scolastico, all’alba della riforma delle sue strutture di fondo, da parte di un non specialista è in controtendenza rispetto a un disinteresse diffuso che, fino ad ora, si è manifestato da parte degli intellettuali nei confronti della scuola. Di essa in genere s’interessano “specialisti”, che troppo spesso ne trattano con un linguaggio arido e settoriale; caso più unico che raro, è dunque quello di Lucio Russo, che in un linguaggio quotidiano e brillante, si accosta ad un argomento così centrale per il nostro vivere civile.
L’autore individua una trasformazione di lungo periodo in atto nella scuola occidentale, e si chiede se si debba accelerarne il cambiamento o non piuttosto cambiarne la direzione.
Le funzioni tradizionali della scuola, infatti, nella società anteriore a quell’attuale, erano due: quella di educare i giovani, fornendo loro, insieme ai valori morali fondamentali, una cultura di base adeguata al previsto livello del loro inserimento sociale; in secondo luogo quella di fornire le conoscenze necessarie per la futura attività professionale. Via via che le società si evolvevano, da quelle di livello tribale, a quelle caratterizzate dalla formazione di grandi organismi statali, basati su una complessa amministrazione, queste funzioni rimanevano inalterate, mutando invece le caratteristiche esterne. Nella “vecchia scuola” conosciuta dall’autore, fino agli anni sessanta, vie erano due grandi fasce d’età: la scuola dell’obbligo, e la scuola superiore. Il ruolo della prima era quella di insegnare a leggere e scrivere, e di trasmettere i valori civili e morali considerati fondamentali, nonché alcune conoscenze considerate elementari, come il calcolo con le quattro operazioni. Nella scuola successiva all’obbligo iniziava la selezione della classe dirigente, attraverso la preparazione di dirigenti e tecnici d’alto livello, da concludersi poi nelle università. Si pensava che la cultura avesse una solida base unitaria, in assenza della quale non si potevano acquisire poi conoscenze specialistiche universitarie. Il liceo Classico e Scientifico rispondevano a quest’impostazione, dove accanto ad una solida base umanistica, si sommava una solida base matematica e scientifica. L’esistenza di questa scuola superiore, dai contenuti sostanzialmente unitari, era del resto rispecchiata dalla pubblicistica per il pubblico colto, di cui caso rappresentativo più alto era rappresentato, ricorda l’autore, dall’Enciclopedia Italiana Treccani. Dagli anni settanta in poi, lo sviluppo tecnologico e l’ampliarsi degli scambi hanno prodotto quel fenomeno che si chiama globalizzazione. “Si sente dire che viviamo in un mondo di complessità crescente, che richiede competenze, in particolare scientifiche, sempre più raffinate. Ciò è evidentemente vero se si guarda alla somma delle competenze possedute dall’umanità, ma sarebbe del tutto errato dedurne un aumento del livello medio delle conoscenze richieste dal sistema”. Progettare un computer richiede, è vero, molte più competenze, ma tale progettazione avviene in pochi luoghi e centri del pianeta, mentre tanto le case produttrici, quanto gli utenti, hanno a che fare con un bagaglio di sapere minimo per assemblarli, quelle, e usufruirne, questi. La funzione della moderna scuola di massa sembra dunque diventata quella di preparare anzitutto consumatori, mentre i pochissimi tecnici sono preparati in poche ed elitarissime scuole concentrate in Usa e in Giappone. “Consumatori “evoluti”, attenti cioè alle novità, capaci di mutare continuamente le abitudini di consumo, abbastanza “colti” per recepire rapidamente i messaggi pubblicitari e leggere manuali d’istruzioni” Una scuola con la funzione di avviare al consumo di massa può fare dunque a meno di qualunque tipo di cultura generale diventando essenzialmente una “scuola delle istruzioni per l’uso”. In questo tipo di scuola gli strumenti concettuali teorici sono eliminati dall’insegnamento, ed esso è ridotto alla descrizione di fatti e ad elenchi di “prescrizioni”, “modellati sulle prescrizioni per l’uso dei farmaci o sui manuali d’istruzione per elettrodomestici”.
La trasformazione in senso prescrittivo degli insegnamenti scientifici n’elimina la dimensione storica e critica. Il sapere è diviso in “pillole”, la cui dimensione non deve superare una “videata” di computer. L’informazione viene poi tradotta in figure brevi e in didascalie, assemblate in “mappe concettuali”, che ricordano tanto gli schemini sempre fatti dagli studenti, salvo il fatto che mentre prima si partiva da testi elaborati e pieni di concetti, ora è il didatta stesso che “somministra” questo sapere liofilizzato a “istruzioni per l’uso” acritiche.
La scuola diventa così da luogo di formazione luogo d’informazione e socializzazione. Ne consegue che i professori, da esperti delle discipline, diventano “operatori scolastici”, con una preparazione essenzialmente socio-pedagogica e con un diminuito prestigio sociale ed economico. A definire i curricola non sono più esperti delle discipline, ma esperti di sociologia, pedagogia e scienza della comunicazione, mentre alle scuole, improntate al paradigma aziendalista, non resta che l’autopromozione pubblicitaria, dove “presidi e insegnanti devono escogitare iniziative promozionali che migliorino l’immagine” della propria scuola attirando il maggior numero di studenti-clienti”.
Lucio Russo continua la sua analisi presentando gli effetti del nuovo paradigma scolastico sugli insegnamenti scientifici e classici. Uno dei capitoli finali del testo si sofferma ad analizzare l’effetto di questa nuova Weltanschauung scolastica in Italia, analizzando la “riforma Berlinguer”, alla luce dei suoi principi ispiratori. La linea Berlinguer-Maragliano (il pedagogista che ha più inciso sull’elaborazione della riforma) corrisponde in pieno al paradigma dominante. Una scuola di consumatori, dequalificata quanto alla sua funzione formativa, diventata un luogo di mero ritrovo e socializzazione. In essa la didattica è ispirata al “principio del videogioco”, secondo una metafora utilizzata dallo stesso Maragliano, in cui, nota Russo, “l’entusiasmo per le nuove tecnologie è quello tipico dell’acquirente passivo”. Sono alleggeriti i contenuti, con l’obiettivo non solo di deconcettualizzare ma anche di “deverbalizzare”. [Russo cita la “Sintesi della commissione tecnico-scientifica incaricata di individuare le conoscenze fondamentali cui si baserà l’apprendimento dei giovani nella scuola italiana nei prossimi decenni”” (D.M. n.50 del 21.1.1997 e n. 84 del 5.2.1997] L’ultima nota dell’autore è quella sulla scuola dell’autonomia, che a suo avviso nasconde invece un appiattimento ad un panaziendalismo dominante, col rischio reale di snaturalizzare e privare di radicamento nell’identità italiana una scuola che si avvia a diventare matrice di omologazione e di fruizione passiva di prodotti del mondo globalizzato.
Questo saggio, la cui prima edizione è uscita nel marzo 1998, ha suscitato un notevole dibattito (in parte documentato, nell’edizione del 2000, da un’interessante appendice), in quella frangia di intellettuali che guardavano con sospetto e timore, e non solo da destra, alla stagione riformatrice inaugurata dal ministero Berlinguer. A questo dibattito l’autore ha apportato, a nostro avviso, la più lucida e informata analisi critica, supportata da una lettura sociologica generale chi si può o no accettare. Resta il fatto comunque che i pericoli segnalati dall’autore sono, a nostro avviso, racchiudibili in un reale abbassamento del tasso culturale delle giovani generazioni, e di conseguenza, a dispetto dell’apparente intenzione dei riformatori, del livello generale di democrazia.
Si tratta, certamente, di un giudizio “schierato”, che tuttavia non può essere tacciato di conservatorismo tout-court, vista la posizione in realtà progressista dell’autore. Resta di attualità il richiamo ad una soglia di lucidità critica, contro i paradigmi culturali dominanti, garantita innanzi tutto dal mantenimento di quanto di buono, e spesso eccellente, vi è nelle istituzioni scolastiche italiane. Leggere il presente per compiere una riforma di quanto non possa ad esso corrispondere in termini di bisogni e offerta formativi, comporta lo sforzo di distaccarsi dalle mode che esso vuole imporci, ed elevarci a quel distacco critico che solo un sapere solido, critico e problematico, imparato nei nostri anni di scuola, può fornire.
ALESSANDRO PARIS Dove sta andando la scuola? (su “Segmenti e bastoncini” di Lucio Russo)
