Da «Racconti umoristici e satirici»
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Si cominciano a notare nella nostra parentela dei fenomeni di decadenza che per un certo periodo ci siamo sforzati in silenzio di non vedere; ma ora siamo decisi a guardare in faccia il pericolo.
Non vorrei già azzardare la parola crollo, ma gli avvenimenti preoccupanti si moltiplicano in tal maniera da rappresentare un pericolo e mi costringono a raccontare cose che suoneranno certo sorprendenti alle orecchie dei miei contemporanei, ma che nessuno può mettere in dubbio. Le muffe della decomposizione si sono annidate sotto la crosta spessa e dura del decoro, colonie di mortali parassiti che annunciano la fine dell’integrità di tutta una razza.
Oggi dobbiamo rimpiangere di non aver ascoltato la voce di nostro cugino Franz, che cominciò presto a farci notare le terribili conseguenze che avrebbe avuto un fatto “di per sé innocente”.
Un avvenimento in sé così irrilevante che la misura delle sue conseguenze ora ci spaventa; Franz ci aveva avvertiti in tempo. Purtroppo godeva di ben poca reputazione. Aveva scelto una professione che non era mai comparsa sino allora in tutta la nostra parentela e che non avrebbe nemmeno dovuto comparire: Franz fa il pugile. Melanconico già nella giovinezza, e di una devozione che venne sempre definita: “esagerato fervore” prese presto strade che diedero non poche preoccupazioni a mio zio Franz – uomo dal cuor d’oro. Quel figliolo aveva la passione di sottrarsi ai suoi doveri scolastici, in una misura che non può venir definita normale. Si incontrava con equivoci compagni in parchi fuori mano ed in folti cespugli di periferia. Là si esercitavano nelle dure regole dei pugni e delle lotte, senza mostrarsi per nulla preoccupati del fatto che il retaggio umanistico venisse così trascurato. Questi “duri” mostrarono ben presto i vizi della loro generazione, che ha già dimostrato nel frattempo di non valere nulla. Le eccitanti battaglie spirituali dei secoli passati non lì interessavano, occupati com’erano con le dubbie eccitazioni del proprio secolo. All’inizio mi sembrò che la devozione di Franz fosse in contrasto con questi regolari esercizi di attiva e passiva brutalità. Pure oggi comincio a capire qualcosa: dovrò tornarci sopra.
Fu dunque Franz che ci avvertì in tempo, si tenne lontano da certe feste da lui definite storie inutili, eccessive e che più tardi si rifiutò di aver una qualsiasi parte nelle misure necessarie per il mantenimento di quelle che egli aveva appunto chiamato storie inutili. Pure – come ho già detto – godeva di troppo poca reputazione per essere preso in considerazione dalla parentela. Ora, d’altra parte, le cose sono arrivate a tal punto che noi non sappiamo cosa fare, come riuscire a fermarle. Franz è diventato da tempo un pugile famoso, ma rifiuta le lodi che la famiglia gli tributa, con la stessa indifferenza con cui allora rifiutava ogni critica. Suo fratello però – mio cugino Johannes – un uomo per cui io avrei messo sempre la mano sul fuoco, avvocato di grido, il figlio più amato di mio zio Franz, Johannes, dicono si sia avvicinato al partito comunista, voce questa cui mi rifiuto accanitamente di credere. Mia cugina Lucie, finora una donna normale, pare accompagnata dal meschino consorte, si sarebbe data, in locali equivoci, a danze per le quali non so trovare altro aggettivo che quello di esistenzialiste. Lo stesso zio Franz, quest’uomo dal cuor d’oro, avrebbe detto di essere stanco della vita, lui che fra tutti i parenti era considerato un modello di vitalità ed un esempio di quel che abbiamo imparato a chiamare un commerciante cristiano. Intanto si moltiplicano i conti dei medici, si chiamano a consulto psichiatri. Solo la zia Milla, causa prima di tutti questi fenomeni, gode ottima salute, sorride, è tranquilla e serena come è sempre stata. La sua freschezza e la sua verve cominciano però ora a preoccuparci, dopo che per lungo tempo ci era stato così a cuore il suo benessere. Perché ci fu una crisi nella sua vita che minacciò di diventare preoccupante. E qui devo entrare in dettagli.
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È semplice scoprire risalendo agli inizi l’origine di una inquietante serie di fatti: lo strano è che solo ora, osservandoli obiettivamente, i fatti che da quasi due anni avvengono nella cerchia dei miei parenti, mi appaiono straordinari. Avremmo dovuto arrivarci prima a capire che c’era qualcosa che non funzionava. Sul serio, c’è qual-cosa che non funziona – e se mai qualcosa ha funzionato – io ne dubito – certo qui accadono fatti che mi riempiono di terrore. La zia Milla era famosa in famiglia perché la cosa che le piaceva di più era addobbare l’albero di Natale; un debole innocente, anche se particolare, pure abbastanza diffuso nella nostra patria. Tutti sorridevano con indulgenza di questa sua piccola mania, e l’avversione, che Franz già nella prima giovinezza – aveva manifestato per tutte quelle “cianfrusaglie” era oggetto della più violenta indignazione tanto più che Franz era di per se stesso un fenomeno sconcertante. Si rifiutava di collaborare all’addobbo dell’albero di Natale. Tutto fino ad un certo punto procedeva normalmente. Mia zia, si era abituata all’assenza di Franz durante i preparativi delle settimane dell’avvento e a che – durante la festa – comparisse solo per il pranzo. Non se ne parlava nemmeno più.
Pur rischiando di rendermi odioso, debbo qui ricordare un fatto, in difesa del quale posso soltanto dire che esso è vero: negli anni dal 1939 al 1945 abbiamo avuto la guerra. In guerra si canta, si spara, si discorre, si combatte, si soffre la fame e si muore e si buttano bombe; tutte cose poco allegre, e ricordandole non voglio assolutamente annoiare i miei contemporanei. Sono costretto a ricordarle perché tutte hanno avuto la loro importanza per la storia che voglio raccontare. La guerra venne infatti avvertita dalla zia Milla solo come una forza che aveva cominciato già a Natale del 1939 a mettere in pericolo il suo albero di Natale. Senza dubbio il suo albero di Natale era di una particolare sensibilità.
La principale attrazione dell’albero di Natale della zia Milla erano dei nanetti di vetro che tenevano nelle braccia alzate un martelletto di sughero; ai loro piedi erano appese incudini a forma di campana. Alle suole dei nanetti erano fissate delle candele; raggiunto un certo grado di calore, cominciava a muoversi un meccanismo nascosto, una frenesia nervosa si comunicava alle braccia dei nanetti che battevano come matti coi loro martelli di sughero sulle incudini a forma di campana e provocavano – una dozzina in tutto – un fine tintinnio concertante, come una musica di elfi. In cima all’abete era attaccato un angelo vestito d’argento, dalle guance rosse, che a determinati intervalli muoveva le labbra e sussurrava “pace, pace”. Il segreto meccanico di quest’angelo, custodito gelosamente, mi si è rivelato solo più tardi, sebbene allora avessi occasione di ammirarlo quasi ogni settimana. Ma dall’abete di mia zia pendevano una infinità di altre cose, caramelle di zucchero, biscottini, figurine di marzapane, zucchero filato – e da non dimenticare – i fili di stagnola: attaccare tutte queste cosine, questi ornamenti – mi ricordo ancora – richiedeva una notevole fatica. Tutti dovevano partecipare e nessuno della famiglia, la sera di Natale, aveva appetito, per la tensione nervosa e lo stato d’animo – per così dire – era terribile: tranne che per mio cugino Franz che non aveva partecipato a tutti questi preparativi e che unico godeva e gustava l’arrosto, gli asparagi, il gelato e la panna. Quando poi per Santo Stefano noi arrivavamo in visita e osavamo esprimere l’azzardata ipotesi che il segreto dell’angelo parlante si basasse sullo stesso meccanismo che fa dire a certe bambole “mamma” e “papà” raccoglievamo soltanto risate di scherno.
Si potrà immaginare quindi come le bombe cadute nelle vicinanze mettessero in estremo pericolo un albero così sensibile. Ci furono scene terribili quando i nanetti caddero dall’albero: una volta cadde addirittura l’angelo. Mia zia era inconsolabile. Dopo ogni incursione aerea, cercava di rimettere a posto, con enorme fatica, tutto l’albero com’era prima e tentava per lo meno di mantenerlo in vita durante i giorni di Natale.
Ma già nel 1940 non c’era nemmeno più da pensarci. Rischiando di nuovo di rendermi molto antipatico, devo qui ricordare brevemente che il numero delle incursioni aeree sulla nostra città fu realmente notevole per non parlare della loro violenza. Ad ogni modo l’albero di Natale di mia zia fu una vittima – parlare di altre vittime me lo impedisce il filo del discorso – della moderna tattica di guerra: esperti stranieri di balistica ne spensero temporaneamente l’esistenza.
Tutti partecipammo al dolore di nostra zia che era una donna amabile e simpatica. Ci fece dispiacere che si dovesse dichiarare disposta – dopo dure lotte, dispute infinite, dopo lacrime e scene, a rinunciare al suo albero per tutta la durata della guerra.
Per fortuna – o debbo dire per sfortuna? – questa fu l’unica cosa per cui si accorse della guerra. Il bunker che mio zio aveva costruito era a prova di bomba, e poi c’era sempre una macchina pronta per portare la zia Milla in regioni in cui nulla si notava degli effetti della guerra; si fece tutto per risparmiarle la vista delle paurose distruzioni. I miei due cugini ebbero la fortuna di non conoscere la guerra nella sua forma più dura: Johannes entrò subito nella ditta di mio zio, che aveva una parte decisiva nell’approvvigionamento di frutta e verdura per la nostra città. Inoltre soffriva di cistifellea. Franz invece andò soldato ma gli venne solo affidata la sorveglianza di prigionieri, posto in cui ebbe l’occasione di rendersi odioso ai suoi superiori militari perché trattava come esseri umani i russi e i polacchi. Mia cugina Lucie allora non era sposata e aiutava nell’azienda. Un pomeriggio alla settimana aiutava – in servizio di guerra volontario – a ricamare croci uncinate in un laboratorio.
Ma non voglio qui elencare i peccati politici dei miei parenti. Nell’insieme comunque non mancavano né denaro né generi alimentari, né ogni necessaria sicurezza e per mia zia era solo amara la rinuncia al suo albero. Mio zio Franz, quest’uomo dal cuor d’oro ha accumulato in quasi cinquant’anni meriti notevoli comprando aranci e limoni in paesi tropicali e subtropicali e rimettendoli poi in commercio con un notevole aumento. Durante la guerra estese il suo commercio anche a frutta e verdura di minor pregio. Ma dopo la guerra tornarono le frutta piacevoli, cui andava il suo maggior interesse, gli agrumi, che furono pure oggetto del più attento interesse anche da parte di ogni genere di compratori. Lo zio Franz riuscì a rimettersi in primo piano e ad assicurare alla popolazione il godimento di vitamine e a se stesso quello di un notevole patrimonio.
Ma aveva quasi settant’anni, voleva mettersi a riposo, lasciare l’azienda nelle mani del genero. Fu allora che si manifestò quell’avvenimento che allora deridemmo e che ora ci appare invece l’origine di tutte le successive miserande conseguenze. La zia Milla ricominciò con l’albero di Natale. Era una cosa in fondo innocente: persino la tenacia con cui volle che tutto fosse “come prima” ci strappò solo un sorriso.
Dapprima non c’era davvero ragione che prendessimo questa cosa troppo sul serio. La guerra aveva distrutto tante cose la cui ricostruzione ci procurava maggiori pensieri: perché privare – dicemmo – una deliziosa signora anziana di questa piccola gioia? Ognuno sa quanto fosse difficile allora trovare burro è lardo: persino per lo zio Franz con tutte le migliori relazioni – era impossibile procurare, nell’anno 1945 figure di marzapane, ciondoli di cioccolata e candele; solo nel 1946 si poté avere tutto. Per fortuna si era salvata una serie completa di nanetti e di incudini e anche un angelo.
Mi ricordo ancora bene del giorno in cui fummo invitati: era il gennaio del 1947, fuori faceva un gran freddo, ma da mio zio era caldo e di cibi non mancava niente. Quando si spensero le lampade e si accesero le candele, quando i nanetti cominciarono a battere col martelletto sulle incudini, l’angelo a sussurrare “pace, pace”, mi sentii trasportare indietro, in un tempo che avevo creduto ormai passato.
Pure, anche se sorprendente, questo avvenimento non aveva nulla di straordinario. Straordinario fu invece quanto vidi tre mesi dopo.
Mia madre – era già metà marzo – mi aveva mandato dallo zio Franz per vedere se “non ci fosse niente da fare”. A lei importava la frutta. Gironzolai nel quartiere vicino – l’aria era mite, imbruniva – non sospettavo nulla. Passai vicino ai mucchi di macerie verdi di erba, al parco inselvatichito, apersi la porta del giardino di mio zio e mi fermai inebetito. Nel silenzio della sera si sentiva chiaramente che nel soggiorno di mio zio si stava cantando. Cantare è una buona e sana abitudine tedesca e ci sono molte canzoni dedicate alla primavera, ma io intesi chiaramente:
“O Bambino divino, dai riccioli d’oro”.
Debbo confessare che restai sconcertato. Mi avvicinai lentamente, attesi la fine del canto. Le tende erano chiuse, mi chinai a guardare dal buco della serratura. In quel momento arrivò alle mie orecchie il tintinnio delle campane dei nanetti e udii chiaramente il bisbigliare dell’angelo: “pace, pace”. Non ebbi il coraggio di entrare e tornai lentamente a casa.
In famiglia il mio racconto provocò divertimento generale, ma solo quando comparve Franz e ci fornì i particolari, sapemmo cosa era accaduto.
Nei giorni della Candelora, il tempo cioè in cui si spogliano nei nostri paesi gli alberi di Natale, si gettano fra l’immondizia, da dove i ragazzini sfaccendati li riprendono, li trascinano fra la cenere e altre porcherie e li usano per ogni sorta di giochi, nei giorni della Candelora dunque, era successa la cosa terribile. Quando mio cugino Johannes, dopo aver acceso per l’ultima volta l’albero la sera della Candelora, cominciò a staccare i nanetti dai loro uncini la mia – fino allora – così dolce zia cominciò a urlare da far pietà e tanto forte e tanto improvvisamente che mio cugino spaventato perse il controllo dell’albero che già leggermente oscillava e fra scricchiolii e sinistri tintinnii – nanetti e campane, incudini e angelo, tutto precipitò fra le urla di mia zia.
Mia zia urlò per quasi una settimana; telegraficamente vennero chiamati a consulto neurologi, psichiatri arrivarono a tutta velocità in taxi, ma tutti – anche i grandi luminari – se ne andavano spaventati, alzando le spalle.
Nessuno aveva saputo por fine a quell’acuto ed assordante, sgradevole concerto. Solo le medicine più forti recarono alcune ore di pace ma le dosi di Luminal che possono venir somministrate giornalmente ad una sessantenne, senza metterne in pericolo la vita, sono purtroppo minime. È però un tormento avere in casa una donna che urla con tutte le sue forze: già il secondo giorno la famiglia era sfinita.
Non diede alcun risultato nemmeno il conforto del prete che era solito intervenire alla festa della notte di Natale: mia zia continuava a urlare. Franz si attirò l’antipatia di tutti perché consigliò di fare dei veri e propri esorcismi. Il parroco lo rimproverò, la famiglia sconcertata dalle sue idee medievali era scandalizzata, la fama della sua brutalità superò per alcune settimane la sua fama di pugile. Frattanto si tentava di tutto per liberare mia zia dal suo stato. Ella rifiutava il cibo: si fece ricorso all’acqua fredda, ai pediluvi caldi, alle cure idroterapiche, i medici aprirono i loro manuali; cercarono il nome di questo complesso, ma non lo trovarono. E mia zia urlava. Urlò tanto finché a mio zio Franz, quest’uomo dal gran cuore, non venne l’idea di trovare un nuovo abete.
3
L’idea era eccellente, ma si rivelò straordinariamente difficile realizzarla. Era già metà febbraio e non è tanto facile trovare a quest’epoca sul mercato un abete passabile. Tutto il mondo del commercio ha rivolto da tempo i suoi interessi – del resto con rapidità consolante – ad altri articoli. Carnevale è vicino: maschere e pistole. Cappelli da cow-boy e folli copricapi da principesse della czarda riempiono le vetrine in cui prima si ammiravano angeli e neve di bambagia, candeline e presepi.
I negozi di dolciumi hanno da tempo riordinati nei loro magazzini tutto l’assortimento natalizio, mentre ora petardi e castagnole ornano le loro vetrine. Ad ogni modo a quest’epoca di abeti non se ne trovano sul mercato. Alla fine venne organizzata una spedizione di nipoti, pirati muniti di denaro e di una tagliente accetta: se ne andarono nel bosco demaniale e tornarono verso sera di ottimo umore, con un abete nobile. Nel frattempo si era dovuto constatare che si erano rotti quattro nanetti, sei incudini a campana, e l’angelo da mettere in cima all’albero.
Le figure di marzapane e i dolciumi erano caduti vittime degli avidi nipoti. Anche questa generazione che cresce non vale niente e se mai una generazione è stata buona a qualcosa – ne dubito – giungo alla conclusione che è stata quella dei nostri padri. Sebbene non mancassero né denaro liquido né le relazioni necessarie, ci vollero ancora quattro giorni perché l’allestimento fosse completato. Nel frattempo mia zia urlò senza posa. Telegrammi furono lanciati nell’etere diretti ai centri del giocattolo tedesco in ricostruzione, conversazioni-lampo, pacchetti espressi furono consegnati nella notte da affannati apprendisti delle poste e infine si ottenne, con la corruzione, in poco tempo un permesso di importazione dalla Cecoslovacchia.
Quei giorni resteranno nella cronaca della famiglia di mio zio memorabili per il consumo di caffè, sigarette e di energia nervosa.
Intanto mia zia deperiva: il suo viso rotondo si era fatto duro e angoloso, la sua espressione di dolcezza aveva ceduto a quella di una inflessibile severità, non mangiava, non beveva, urlava continuamente, era sorvegliata sempre da due infermiere e ogni giorno si doveva aumentare la dose di Luminal.
Franz ci raccontò che nella famiglia regnò una tensione morbosa finché la sera del dodici febbraio non fu pronto tutto l’armamentario per l’albero. Si accesero le candele, si tirarono le tende, mia zia venne trasportata dalla sua camera nel soggiorno, dove si sentivano fra gli intervenuti solo risa soffocate e singhiozzi.
L’espressione del viso di mia zia si addolcì già al riflesso delle candele e quando il loro calore ebbe raggiunto il grado necessario perché i nanetti cominciassero a martellare sulle incudini e l’angelo bisbigliò: “pace, pace” un meraviglioso sorriso aleggiò sul suo viso e poco dopo tutta la famiglia intonò: “O Tannenbaum”. Per completare il quadro era stato invitato anche il parroco che era solito trascorrere la sera della vigilia di Natale a casa dello zio Franz: anch’egli sorrideva, era sollevato e cantava. Quello che non era riuscito a fare nessun test, nessuna perizia psicologica, nessuna minuziosa ricerca di traumi nascosti, l’aveva ottenuto il cuore sensibile di mio zio. L’abetoterapia di quest’uomo dal cuor d’oro aveva salvato la situazione. Mia zia si era calmata ed era – si sperava – quasi guarita. Dopo aver cantato alcune canzoni, aver vuotato alcuni vassoi di biscotti, tutti si ritirarono stanchi e guarda un po’: mia zia dormì senza nessun tranquillante. Le due infermiere furono licenziate, i medici si strinsero nelle spalle, tutto sembrò in ordine. Mia zia mangiava ancora, beveva, era di nuovo amabile e gentile. Ma la sera dopo, all’avvicinarsi del crepuscolo, mentre mio zio sedeva vicino a sua moglie leggendo il giornale sotto l’albero ella toccò improvvisamente il suo braccio con dolcezza e disse: — Chiamiamo i ragazzi per la festa, credo che sia ora. — Mio zio ci confessò più tardi che si spaventò, ma si alzò per radunare in fretta i figli e i nipoti e mandare qualcuno a chiamare il parroco. Il parroco arrivò un po’ affannato e meravigliato, ma le candele vennero accese, si fecero tintinnare i nanetti, bisbigliare l’angelo, si mangiarono dolci e si cantò: sembrava che tutto fosse in ordine.
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L’intera vegetazione è soggetta a certe determinate leggi biologiche e gli abeti, strappati alla terra hanno notoriamente la miserevole tendenza a perdere gli aghi, specialmente se stanno in ambienti riscaldati e da mio zio era caldo. La durata dell’abete nobile è più lunga di quella dell’abete comune, come ha dimostrato la nota opera del dottor Hergering: Abies vulgaris et abies nobilis. Ma nemmeno la durata dell’abete nobile è illimitata. Già all’avvicinarsi del carnevale era chiaro che bisognava arrecare nuovo dolore alla zia: l’albero perdeva rapidamente gli aghi e la sera, durante i canti natalizi, si notarono leggere rughe sulla fronte della zia. Su consiglio di uno psicologo veramente bravo si tentò di parlare, in leggero tono di conversazione, di una possibile fine del periodo natalizio, tanto più che gli alberi avevano già cominciato a germogliare, il che è generalmente segno della primavera che si avvicina, mentre alla parola Natale, alle nostre latitudini si associano immagini assolutamente invernali. Mio zio, uomo molto abile, propose una sera di intonare le canzoni: “Gli augelli son tornati” e “Vieni, maggio amato…” ma già al primo verso della prima canzone mia zia fece un viso talmente serio che bisognò interrompere subito e intonare: “O Tannenbaum”.
Tre giorni dopo mio cugino Johannes venne incaricato di intraprendere un moderato tentativo di saccheggio dell’albero, ma appena tese le mani per prendere il martello di sughero a uno dei nanetti, mia zia ruppe in così alte grida che subito lo rimise a posto, si accesero le candele e si intonò in fretta, ma molto forte: “Stille Nacht”.
Ma le notti non erano più né sante né tranquille: gruppi di giovani ubriachi giravano per la città con trombe e tamburi, stelle filanti e coriandoli dappertutto, bambini in maschera popolavano di giorno le strade, sparavano, urlavano, alcuni cantavano e a voler credere in seguito ad una statistica privata, c’erano per lo meno sessantamila cow-boys e quarantamila principesse della czarda nella nostra città: insomma era carnevale, una festa che noi siamo soliti celebrare con lo stesso ardore – anzi con pari se non maggior entusiasmo – che il Natale. Mia zia sembrava cieca e sorda: criticava gli abbigliamenti carnevaleschi, che a quest’epoca inevitabilmente pendono nei guardaroba delle nostre case: con voce triste lamentava il basso livello morale, che nemmeno nei giorni di Natale, lasciava queste scostumatezze, e quando scoperse nella camera da letto di mia cugina, un palloncino che era sgonfio, ma su cui si vedeva ancora chiaramente il disegno, in bianco, di un berretto a sonagli, scoppiò in lacrime e pregò mio zio di mettere un freno a quelle empietà. Con terrore si dovette constatare che mia zia viveva realmente nella follia che fosse “la vigilia di Natale”. Mio zio convocò ad ogni modo una riunione di famiglia, pregò che si avesse riguardo di sua moglie, che si tenesse conto del suo particolare stato psichico, e organizzò ancora una spedizione di nipoti per garantire almeno la pace della festa serale. Mentre mia zia dormiva, tutto l’armamentario passò dal vecchio albero a quello nuovo, e lo stato della zia restò soddisfacente.
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Ma anche il carnevale passò, la primavera arrivò davvero, invece della canzone: “Vieni, amato maggio”, si sarebbe già potuto cantare “Maggio amato, sei giunto”. Venne giugno. Erano già stati consumati quattro abeti, e nessuno dei medici chiamati ultimamente a consulto aveva potuto dare speranze di un miglioramento. Mia zia resisteva. Persino il dr. Bless, di fama internazionale, si era ritirato con una alzata di spalle nel suo studio, dopo aver incassato come onorario la somma di 1.365 marchi, dimostrando così per l’ennesima volta la sua mancanza di senso pratico. Altri tentativi molto vaghi, di interrompere la festa o di non celebrarla, furono accompagnati da tali urli da parte di mia zia che alla fine si dovette desistere definitivamente da tali sacrilegi. La cosa terribile era che mia zia esigeva che tutte le persone, più vicine a lei, fossero presenti. Fra queste rientravano anche il parroco e i nipotini. Gli stessi membri della famiglia bisognava indurli con estrema severità a comparire puntualmente, ma col parroco era una faccenda difficile. Resisté alcune settimane senza brontolii per rispetto alla sua vecchia penitente, ma poi cercò, tossicchiando imbarazzato, di spiegare a mio zio che non poteva continuare così. La vera cerimonia era breve, sì – durava circa trentotto minuti – ma nemmeno questa breve cerimonia si poteva sopportare sempre, affermava il parroco. Lui aveva altri doveri, riunioni serali con i suoi confratelli, missioni di apostolato, per non parlare poi delle confessioni il sabato. Aveva tuttavia accettato alcuni rinvii importanti per alcune settimane, ma verso la fine di luglio cominciò energicamente ad esigere di essere esonerato dall’impegno. Franz imperversava in famiglia, cercava complici per il suo piano di internare la madre in una casa di cura, ma trovava dappertutto resistenza. Comunque fosse ormai le difficoltà si facevano sentire. Una sera mancò il parroco, non lo sino poté scovare né per telefono né mandandolo a cercare e fu chiaro che se l’era svignata. Mio zio bestemmiò tremendamente, colse l’occasione per definire i servi della Chiesa con parole che mi rifiuto di ripetere. Nell’estremo bisogno si pregò un cappellano, uomo di origini semplici, di aiutarci. Lo fece, ma si comportò in una maniera così terribile che saremmo quasi arrivati alla catastrofe.
Bisogna però pur pensare che era giugno, quindi caldo, ciononostante le tende erano chiuse per lo meno per dare l’illusione dell’oscurità invernale, e in più le candele erano accese. La festa cominciò: il cappellano aveva sentito dire già di questa strana cerimonia, ma non ne aveva un’idea precisa. I parenti, tremando presentarono il cappellano alla zia dicendole che sostituiva il parroco. Contrariamente all’aspettativa la zia accettò il cambiamento di programma. I nanetti fecero il loro concerto, l’angelo bisbigliò, si cantò “O Tannenbaum”, poi si mangiarono dolci, si cantò ancora una volta la canzone natalizia e improvvisamente il cappellano venne preso da un riso convulso. Ha poi confessato di non aver potuto sopportare senza ridere il verso “in inverno, quando c’è la neve”. Scoppiò a ridere con clericale stupidità, abbandonò la stanza e non si vide più. Tutti guardarono ansiosi mia zia, che disse rassegnata qualcosa come “proletario vestito da prete” e si fece scivolare in bocca un pezzetto di marzapane. Anche noi deplorammo questo contrattempo anche se oggi sono incline a definirlo esplosione di una naturale ilarità. A questo punto devo aggiungere – ad onor del vero – che mio zio ha sfruttato tutte le sue amicizie negli alti ranghi dell’amministrazione della chiesa per lamentarsi sia del cappellano che del parroco. La cosa venne trattata con estrema correttezza, fu intentato processo per trascuratezza dei doveri pastorali, vinto alla prima istanza dai due religiosi. Un secondo procedimento è ancora pendente. Per fortuna si trovò un prelato in pensione che abitava nelle immediate vicinanze. Questo distinto e simpatico vecchio signore si dichiarò pronto, con naturale amabilità, a tenersi a disposizione per completare quotidianamente la festa serale. Ma queste sono anticipazioni. Mio zio Franz che era lucido abbastanza da riconoscere che nessuna terapia avrebbe avuto effetto e che si rifiutava testardo di ricorrere agli esorcismi, era però uomo d’affari abbastanza per adeguarsi alla durata del fenomeno e calcolarne il lato più economico. Già alla metà di giugno cessarono le spedizioni dei nipoti perché risultarono troppo care. Il mio ingegnoso cugino Johannes – che intrattiene con tutti i centri di affari di tutto il mondo ottimi rapporti – scovò il servizio-espresso per il rifornimento di abeti freschi della ditta Söderbaum, impresa assai efficiente che in quasi due anni ha riscosso grandi meriti presso il sistema nervoso della mia parentela. Dopo sei mesi la ditta Söderbaum trasformò la fornitura dell’albero in un abbonamento notevolmente ribassato e si dichiarò disposta a far fissare esattamente dal proprio specialista in conifere, dottor Alfast, il tempo della consegna in modo che già tre giorni prima che il vecchio albero fosse da gettar via, arrivasse quello nuovo e venisse addobbato in tutta calma. Inoltre, per prudenza, in magazzino si tengono di riserva due dozzine di nanetti e tre angeli per la cima.
Un punto debole sono rimasti fino ad oggi i dolciumi: mostrano la miserabile tendenza a sciogliersi, e a gocciolare dall’albero, più rapidi e definitivi della cera che fonde. Per lo meno nei mesi estivi. Ogni tentativo di mantenerli con impianti di raffreddamento abilmente nascosti, nella rigidità natalizia è sinora fallito, come una serie di esperimenti iniziata per esaminare la possibilità di una conservazione chimica dell’albero. La famiglia è aperta ad ogni proposta nuova atta a rendere meno costosa questa continua festa, ed è grata per ogni consiglio.
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Intanto a casa di mio zio le feste serali hanno assunto una rigidità quasi professionale. Ci si raduna sotto l’albero o attorno all’albero. Mia zia entra, si accendono le candele, i nanetti cominciano a battere sulle incudini e l’angelo sussurra: “pace, pace”, poi si cantano alcune canzoni, si mangiucchiano dolci, si chiacchiera un po’ e ci si ritira sbadigliando con l’augurio “Buone Feste” e la gioventù si dà ai divertimenti che offre la stagione, mentre il mio buon zio Franz si ritira con la zia Milla. Resta nella stanza il fumo delle candele e il profumo delicato dei rami d’abete riscaldati e l’aroma delle spezie. I nani un po’ fosforescenti restano rigidi nell’oscurità con le braccia alzate minacciosamente e l’angelo mostra una tunica argentea, pure fosforescente. Resta forse da rilevare che la gioia della vera festa di Natale ha perduto molto del suo fascino, per tutta la parentela. Se vogliamo, possiamo ammirare da nostro zio, ogni giorno, un classico albero di Natale e succede spesso che, mentre d’estate sediamo sulla veranda e beviamo dopo il travaglio e il peso della giornata, la dolce bowle6 all’arancio dello zio, ci arrivi da dentro il suono soave delle campane di vetro e si possa vedere nella mezza oscurità i nanetti martellare come piccoli veloci diavoletti, mentre l’angelo sussurra: “pace, pace”. E ci fa sempre una strana impressione sentir lo zio, in piena estate, gridare ai figli, all’improvviso: — Accendete l’albero, per favore, la mamma viene subito.
Poi entra, generalmente puntuale, il prelato, un soave vecchio signore cui ci siamo tutti affezionati perché recita la sua parte meravigliosamente, se pur si è mai accorto che deve recitare una parte e quale. Ma tanto vale: la recita, coi capelli bianchi, sorridente e l’orlo violetto sotto il collare dà alla sua figura l’ultimo tocco di distinzione. È una esperienza straordinaria sentire nelle tepide notti d’estate il grido concitato: — Lo smoccolatoio, dov’è lo smoccolatoio? — È già successo che durante un violento temporale i nanetti, anche senza l’influenza del calore, cominciassero a sollevare le braccia e a oscillare come matti e a dare un concerto fuori programma, fatto che si è cercato di spiegare con la prosaica e asciutta parola: elettricità.
Un lato non del tutto trascurabile della faccenda è quello finanziario. Anche se in generale nella nostra famiglia non mancano denari, queste spese straordinarie mandano all’aria tutti i calcoli.
Perché nonostante accortezze e prudenze, il consumo di nani, di incudini e martelli è enorme e il sensibile meccanismo che rende l’angelo parlante, ha bisogno di continue attenzioni e cure e qualche volta va anche rinnovato. A proposito, intanto ne ho scoperto il segreto: l’angelo è collegato nella stanza accanto con un filo ad un microfono davanti al cui muso di metallo gira continuamente un disco che – con certe pause – sussurra; “pace, pace”. Tutte queste cose sono tanto più costose in quanto inventate per essere usate soltanto alcuni giorni dell’anno, e invece vengono ora strapazzate per tutto l’anno. Fui molto sorpreso quando mio zio mi spiegò un giorno che in realtà i nanetti debbono venir rinnovati ogni tre mesi e che una serie completa non costa meno di centoventotto marchi.
Aveva pregato un amico ingegnere di ricoprirli con un rivestimento di caucciù, che non compromettesse la bellezza del suono, ma l’esperimento è fallito. Il consumo di candele, dolci, spezie, spekulatius, l’abbonamento all’albero, i conti dei medici e i compensi trimestrali che bisogna far pervenire al prelato, tutto insieme, dice mio zio, gli viene a costare in media al giorno circa undici marchi, per non parlare del logorio di nervi e degli altri disturbi fisici che cominciarono allora a farsi notare. Ma era autunno e i disturbi vennero attribuiti ad una certa sensibilità autunnale, che si osserva generalmente in questa stagione.
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La vera festa di Natale trascorse del tutto normale: c’era come una specie di sollievo in casa di mio zio, poiché si vedevano altre famiglie sotto l’albero di Natale, anche gli altri dovevano cantare e mangiare spekulatius. Ma il sollievo durò quanto il periodo natalizio. Già a metà gennaio una strana malattia si manifestò in mia cugina Lucie; alla vista degli abeti che giacevano per le strade e sui mucchi di rovine, scoppiò in singhiozzi isterici. Poi ebbe un vero e proprio attacco di pazzia, che si cercò di far passare per un collasso nervoso. Strappò dalle mani di un’amica, che l’aveva invitata al caffè, un vassoio di spekulatius che questa sorridendo dolcemente le porgeva. Mia cugina è del resto quella che si dice una donna di temperamento: strappò dunque dalle mani dell’amica il vassoio, si avvicinò al suo albero di Natale, lo divelse dal sostegno e pestò le colorate palle di vetro, i funghi artificiali, le candele e le stelle, mentre un continuo e pauroso mugolio usciva dalla sua bocca. Le signore riunite fuggirono, compresa la padrona di casa, Lucie la lasciarono infuriare, attesero il medico nel corridoio, costrette ad ascoltare dentro il rovinio delle porcellane infrante. Mi rincresce ma a questo punto devo raccontare che Lucie venne portata via con la camicia di forza.
Prolungate cure ipnotiche arrestarono la malattia, ma la guarigione vera e propria arrivava molto lentamente. Più di tutto sembrò giovarle enormemente l’esonero dalla presenza alla festa della sera, che il medico riuscì ad ottenere per lei; dopo alcuni giorni cominciò a rifiorire. Già dieci giorni dopo il medico poteva rischiare di parlare con lei per lo meno di spekulatius, ma di mangiarli invece si rifiutò accanitamente. Al medico venne l’idea geniale di nutrirla con cetrioli sott’aceto, offrirle insalate e saporiti piatti di carne. Fu veramente la salvezza per la povera Lucie: ricominciò a ridere ancora e a insaporire di osservazioni ironiche gli infiniti colloqui terapeutici che il medico le propinava. Il vuoto, prodotto dalla sua mancanza alla festa della sera, fu doloroso per mia zia, ma venne giustificato adducendo una circostanza che può valere per tutte le donne, come valida scusa: la gravidanza.
Ma Lucie aveva creato quello che si dice un precedente, aveva dimostrato che la zia sì soffriva se mancava qualcuno, ma non cominciava subito a urlare e mio cugino Johannes e suo cognato Karl tentarono di infrangere la dura disciplina simulando malattie, impedimenti d’affari e motivi d’altro genere, ma ben evidenti. Pure mio zio restò di una durezza sorprendente: con ferrea severità ottenne che si potessero esibire certificati solo in casi eccezionali e richieste per brevi permessi, poiché mia zia notava subito ogni vuoto e rompeva in un silenzioso pianto continuo che lasciava adito ad amare previsioni. Dopo un mese anche Lucie ritornò e si dichiarò disposta a partecipare di nuovo alle cerimonie quotidiane, ma il suo medico riuscì ad ottenere che si tenesse pronto per lei un vasetto di cetrioli e un vassoio di sandwich saporiti, perché il suo trauma da spekulatius era inguaribile. Così per un periodo furono risolte tutte le difficoltà disciplinari da mio zio, che si rivelò di una durezza inaspettata.
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Già dopo il primo anniversario della festa natalizia permanente, cominciarono a circolare voci preoccupanti, mio cugino Johannes si sarebbe fatto rilasciare da un medico amico una sorta di perizia, una previsione sulla possibile durata della vita di mia zia, una voce sinistra che gettò una luce preoccupante sulla famiglia tranquillamente riunita ogni sera. Il responso sarebbe stato fulminante per Johannes: tutti gli organi di mia zia – che per anni non si era mai data ad eccessi – funzionano benissimo. Suo padre è vissuto settantotto anni e sua madre ottantasei e poiché mia zia ha solo sessantadue anni non c’è ragione alcuna per profetizzarle una fine vicina, ancora meno – trovo – di augurargliela.
Quando poi mia zia una volta – a metà estate – si ammalò, – vomito e diarrea tormentarono quella povera donna – circolarono voci che fosse stata avvelenata, ma io tengo qui ufficialmente a precisare che si è trattato invece di una semplice invenzione di parenti malevoli. È stato chiaramente dimostrato essersi trattato di una infezione portata in casa da uno dei nipotini. Dalle analisi condotte sulle feci di mia zia, non è risultata la minima traccia di veleno. Nella stessa estate si notarono in Johannes i primi segni di odio contro la società: dichiarò di non voler più far parte della società corale e affermò – anche per iscritto – di non aver più nessuna intenzione di continuare a occuparsi dei problemi della canzone tedesca. D’altronde – mi sia permesso dirlo – a questo punto, nonostante il grado accademico da lui raggiunto egli fu sempre un uomo incolto. Per la società “Vyrhymnia” fu una grave perdita dover rinunciare alla sua voce di basso.
Mio cognato Karl cominciò a prendere contatti in segreto con gli uffici per l’emigrazione. Il paese dei suoi sogni doveva avere qualità particolari: non vi dovevano crescere abeti, la cui importazione doveva essere proibita o resa impossibile da altissime dogane, inoltre – e questo a causa di sua moglie – bisognava che fosse sconosciuto il segreto della fabbricazione degli spekulatius e proibito cantare canzoni natalizie. Karl si dichiarò disposto ad eseguire anche pesanti lavori manuali.
Nel frattempo i suoi tentativi di fuga non sono più segreti perché anche in mio zio si è compiuta una improvvisa e completa trasformazione, avvenuta in maniera così poco soddisfacente, che è stata per noi davvero motivo di spavento.
Questo buon borghese di cui posso affermare che è tanto testardo quanto buono, fu visto prendere strade che sono semplicemente immorali e che lo resteranno finché esisterà il mondo. Si sono risapute cose di lui, confermate anche da testimoni, per cui si può usare solo la parola adulterio. E la cosa più terribile è che nemmeno più lo nega, ma ha la pretesa per sé di vivere in condizioni e relazioni che dovrebbero autorizzare speciali leggi morali.
Disgraziatamente questa improvvisa trasformazione diventò palese nel momento in cui scadeva la seconda udienza nella causa contro i due sacerdoti della sua parrocchia. Lo zio Franz deve aver fatto – sia da testimone sia da accusatore – una tale miserevole impressione che è da attribuirsi soltanto a lui se anche questa seconda udienza si è conclusa favorevolmente per i due sacerdoti. Ma tutto questo ormai non importa più allo zio Franz: in lui si è già compiuta la decadenza totale.
Lui è stato anche il primo ad avere l’idea di farsi sostituire da un attore durante la festa della sera. Era riuscito a trovare un bel tipo di disoccupato che per quindici giorni lo imitò così bene che nemmeno sua moglie notò lo scambio di identità. Nemmeno i figli se ne accorsero. Fu uno dei nipotini che durante una breve pausa fra i canti, si mise improvvisamente a gridare: — Il nonno ha i calzini a righe! — sollevando trionfante un calzone dello pseudo-attore. Per il povero artista deve essere stata una scena terribile: anche la famiglia era costernata e per evitare una disgrazia venne intonato in fretta un canto natalizio, come era spesso successo in situazioni penose. Andata a letto la zia, fu subito scoperta l’identità dell’artista. Fu anche il segnale del crollo totale.
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Eppure – bisogna riconoscerlo – un anno e mezzo è lungo ed era ritornata la piena estate, stagione in cui partecipare a questo teatro è più penoso per i miei parenti. Svogliati, nel gran caldo, mangiucchiano noci e pan pepato, sorridono, sorridono fissi dinanzi a loro mentre schiacciano noccioline secche, ascoltano gli instancabili nanetti che martellano e sussultano ogni volta che l’angelo dalle guance rosse sussurra: “pace, pace” sopra le loro teste. Ma resistono mentre il sudore cola lungo il collo e le guance nonostante gli abiti estivi e incolla le camicie. O meglio: hanno resistito.
Il denaro non ha per ora alcuna importanza, anzi. Si comincia a bisbigliare che lo zio Franz anche in affari ha usato metodi che difficilmente consentono ancora la definizione “commerciante cristiano”. È deciso a non permettere alcuna diminuzione essenziale del patrimonio, una sicura affermazione questa che ci tranquillizza e allo stesso tempo spaventa. Dopo aver smascherato l’artista pseudo-nonno, si giunse ad un vero e proprio ammutinamento cui seguì un compromesso: lo zio Franz si dichiarò disposto ad accollarsi le spese di una piccola compagnia che sostituisse lui, Johannes, mio cognato Karl e Lucie e si venne ad un accordo secondo cui uno dei quattro doveva sempre essere presente alla festa serotina per tener a bada i bambini.
Il prelato non ha notato sinora nulla dell’inganno, che non si potrebbe davvero definire con l’aggettivo pio. A parte mia zia e i bambini, lui è l’unica figura originale del gioco.
È stato congegnato un piano esatto, chiamato dalla parentela “programma teatrale”; il fatto che uno di famiglia prenda sempre realmente parte alla festa garantisce una certa vacanza anche per gli attori. Intanto si è osservato che questi non vengono malvolentieri alla festa, guadagnano volentieri un po’ di soldi in più; si è avuto anche successo nell’abbassare la paga poiché – per fortuna – non c’è carestia di attori disoccupati. Karl mi ha raccontato che si può sperare di ridurre le spese ancora di più dato che agli attori viene offerto un pasto e che l’arte notoriamente, quando va in cerca di pane, abbassa i prezzi.
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Alla fatale evoluzione di Lucie ho già accennato, oramai gira solo per i locali notturni: specialmente nei giorni in cui è stata costretta a partecipare alla festa domestica è come folle.
Porta pantaloni di velluto a coste, pullover colorati, gira in sandali e si è tagliata i meravigliosi capelli per portare una disadorna pettinatura a frangia che – lo apprendo ora – è stata parecchie volte di moda col nome di “pony”. Sebbene non potessi osservare in lei aperta immoralità, solo una certa esaltazione, che essa stessa definisce esistenzialismo, ciononostante non mi so decidere a trovare piacevole questa evoluzione: a me piacciono più le donne dolci che si muovono pudicamente a tempo di valzer, che citano gradevoli versi e che non si nutrono solo di cetrioli sott’aceto e goulasch condito di paprica. I progetti di emigrazione di mio cognato Karl sembra si realizzino; ha scoperto un paese, non lontano dall’equatore che promette di soddisfare le sue condizioni e Lucie ne è entusiasta: in quel paese si portano abiti che non sono molto dissimili dai suoi, sono preferiti i condimenti piccanti e si ballano i ritmi senza i quali dice di non poter più vivere. Certo ci sciocca non poco il fatto che non pensino di obbedire al proverbio: “resta a casa e mangia onestamente”, ma d’altro canto capisco che si diano alla fuga.
Peggio è Johannes: purtroppo la voce malvagia si è rivelata verace: è diventato comunista, ha rotto tutti i rapporti con la famiglia, non si cura più di nulla e alle feste serali c’è sempre ormai solo la sua controfigura.
I suoi occhi hanno assunto un’espressione fanatica; come un derviscio si produce durante i comizi del suo partito, trascura gli affari e scrive furiosi articoli nei giornali comunisti. Cosa strana ora si incontra più di frequente con Franz e i due tentano di convertirsi a vicenda. Nonostante la loro diversità interiore, si sono molto ravvicinati personalmente.
Franz non l’ho visto da molto tempo: ho solo sentito parlare di lui, pare che sia stato colpito da profonda depressione, si aggiri in chiese oscure e credo che si possa definire tranquillamente la sua religiosità come esagerata. Cominciò a trascurare la professione, dopo che la disgrazia ebbe colpito la sua famiglia e poco tempo fa ho visto sul muro di una casa distrutta un manifesto ingiallito con la scritta: “Ultima lotta del nostro vecchio maestro Lenz contro Lecoq. Lenz attaccherà al chiodo i suoi guantoni da pugile”. Il manifesto era del marzo e adesso è agosto inoltrato. Franz pare che sia sceso molto in basso: credo che si trovi in uno stato finora sconosciuto alla nostra famiglia: è caduto in povertà.
Per fortuna è rimasto scapolo, le conseguenze sociali della sua religiosità irresponsabile colpiscono solo lui. Con sorprendente testardaggine ha tentato di ottenere l’aiuto della protezione per la gioventù per i bambini di Lucie che riteneva corressero pericolo. Ma i suoi sforzi non sono stati coronati dal successo: grazie a Dio, sono bambini di persone abbienti e quindi non esposti a beneficiare delle istituzioni sociali. Di tutto il resto della parentela quello che si è allontanato meno di tutti – nonostante certi tratti repellenti – è lo zio Franz. Cioè, nonostante l’età avanzata ha un’amante e le sue pratiche commerciali sono di un genere che possiamo ammirare ma non possiamo assolutamente accettare. Ultimamente ha scovato un ispettore disoccupato che sorveglia la festa serale e fa in modo che tutto vada a pennello, e tutto funziona veramente a meraviglia.
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Intanto sono trascorsi due anni: molto tempo. Non ho potuto rinunciare a passare davanti alla casa di mio zio, durante una delle mie passeggiate serali. A casa sua non è più possibile una vera ospitalità da quando una troupe di attori estranei gironzola per casa e i membri della famiglia si dànno a strani piaceri.
Era una dolce sera d’estate, quando passai di là e già mentre stavo svoltando l’angolo nel viale dei castagni, udii il verso:
natalizio risplende il bosco…
Un camion che passava non mi fece sentire il resto; lentamente mi accostai alla casa e guardai attraverso una fessura delle tende, dentro nella stanza: la somiglianza dei mimi presenti coi parenti che rappresentavano era così paurosa che non potei riconoscere al momento chi realmente quella sera avesse la funzione di sorveglianza, così dicono loro. Non potevo vedere i nanetti, ma sentirli. Il loro tintinnio stridente si trasmette a lunghezze d’onda che penetrano tutte le pareti. Non si poteva sentire il bisbiglio dell’angelo.
Mia zia sembrava davvero essere felice: chiacchierava con il prelato e più tardi riconobbi mio cognato, unica – per così dire – persona reale. Lo riconobbi dal modo come arrotondava le labbra per spegnere un fiammifero. Pare proprio che ci siano tratti individuali che sono immutabili. Pensandoci, mi venne l’idea che gli attori venissero trattati anche a vino e a sigari e sigarette, in più ogni sera asparagi. Se sono sfacciati – e quale artista non lo è – questo significa un notevole rincaro per mio zio.
I bambini giocavano con bambole e carrettini di legno in un angolo della stanza, sembravano pallidi e stanchi: sul serio, forse si sarebbe dovuto anche pensare a loro. Mi venne l’idea che forse li si sarebbe potuti sostituire cori bambole di cera del tipo che si vede esposto nelle vetrine delle farmacie come réclame per il latte in polvere e per creme per la pelle. A me pare che abbiano un’aria abbastanza “reale”. Sul serio, ho l’intenzione di richiamare l’attenzione dei miei parenti sui possibili effetti di questa quotidiana eccitazione sulla psiche infantile. Sebbene una certa disciplina non faccia male, pare che si approfitti di loro un po’ più del normale.
Abbandonai il mio posto di osservazione quando si cominciò – dentro – a cantare “Stille Nacht”. Non potevo davvero sopportare quel canto: l’aria era così mite e io avevo l’impressione di assistere, per un momento, ad una riunione di spiriti. Una voglia acuta di cetrioli sott’aceto si impadronì di me e mi fece capire quanto Lucie dovesse aver sofferto.
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Nel frattempo mi è riuscito di ottenere che i bambini vengano sostituiti con manichini di cera. Lo zio Franz fu a lungo riluttante perché costavano cari, ma non si poteva continuare a lungo a nutrire ogni giorno i bimbi con marzapane e a farli cantare canzoni che a lungo andare avrebbero provocato danni psichici. L’acquisto dei manichini di cera si dimostrò utile perché Karl e Lucie emigrarono davvero e anche Johannes ritirò i suoi bambini dalla casa del padre. In mezzo a grandi casse da traversata atlantica, presi congedo da Karl, da Lucie e dai bambini: sembravano felici anche se un po’ inquieti. Johannes ha lasciato la nostra città: adesso è occupato da qualche parte a organizzare una sede del suo partito.
Lo zio Franz è stanco della vita: con voce lamentosa mi ha raccontato che si dimentica sempre di spolverare i manichini. Ha comunque difficoltà col personale e gli attori tendono all’indisciplina. Bevono di più di quanto sia loro consentito, ed alcuni sono stati sorpresi a mettersi in tasca sigari e sigarette. Consigliai a mio zio di offrire acqua colorata e procurarsi sigari di cartone. Gli unici fidati sono il prelato e mia zia: chiacchierano insieme del buon tempo antico, ridono, sembrano divertirsi e interrompono solo i loro discorsi quando si intona una canzone. Ad ogni modo: la festa continua.
Mio cugino Franz ha subìto una strana evoluzione: è stato accettato come converso in un convento dei dintorni. Quando lo vidi la prima volta col saio, ebbi paura: la sua figura alta, col naso schiacciato e le grosse labbra, lo sguardo melanconico mi ricordava più un carcerato che un frate. Parve quasi indovinare i miei pensieri: — Siamo puniti con la vita, — disse piano. Lo seguii in parlatorio. Discorremmo un po’ imbarazzati e parve sollevato quando la campana lo chiamò in chiesa a pregare. Io rimasi pensieroso quando se ne andò: se ne andava in fretta e la sua fretta pareva sincera.