Da «La casa in collina», cap. XXII
Niente è accaduto. Sono a casa da sei mesi, e la guerra continua. Anzi, adesso che il tempo si guasta, sui grossi fronti gli eserciti sono tornati a trincerarsi, e passerà un altro inverno, rivedremo la neve, faremo cerchio intorno al fuoco ascoltando la radio. Qui sulle strade e nelle vigne la fanghiglia di novembre comincia a bloccare le bande; quest’inverno, lo dicono tutti, nessuno avrà voglia di combattere, sarà già duro essere al mondo e aspettarsi di morire in primavera. Se poi, come dicono, verrà molta neve, verrà anche quella dell’anno passato e tapperà porte e finestre, ci sarà da sperare che non disgeli mai più.
Abbiamo avuto dei morti anche qui. Tolto questo e gli allarmi e le scomode fughe nelle forre dietro i beni (mia sorella o mia madre che piomba a svegliarmi, calzoni e scarpe afferrati a casaccio, corsa aggobbita attraverso la vigna, e l’attesa, l’attesa avvilente), tolto il fastidio e la vergogna, niente accade.
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