EUGENIO MONTALE Non chiederci la parola

Da «Ossi di seppia» (1925)

Non chiederci la parola che squadri da ogni lato
l’animo nostro informe, e a lettere di fuoco
lo dichiari e risplenda come un croco
perduto in mezzo a un polveroso prato.

Ah l’uomo che se ne va sicuro,
agli altri ed a se stesso amico,
e l’ombra sua non cura che la canicola
stampa sopra uno scalcinato muro!

Non domandarci la formula che mondi possa aprirti,
sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.
Codesto solo oggi possiamo dirti,
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.

FERNANDO ARAMBURU «Non assassiniamo, giustiziamo»

Da «Patria», Guanda, Milano 2020, pp. 274-6

La verità: a Joxe Mari, sul sedile accanto all’autista, il cuore batteva forte. Già lungo la strada aveva fatto finta di appoggiare le mani sulle ginocchia. Invece no. Si teneva le gambe per controllare il tremore. Oggi sa che c’è un prima e un dopo della prima vittima uccisa, anche se queste cose, pensa, dipendono da come si è fatti. Perché, è chiaro, fai esplodere con una bomba un ripetitore televisivo, faccio un esempio, o la succursale di una banca, e sì, provochi dei danni, ma sono sempre cose che si possono riparare. Una vita, no. Ora ci pensa con freddezza. Allora lo preoccupava un’altra cosa. Cosa? Be’, che i nervi gli giocassero un brutto tiro. Temeva di mostrarsi debole, insicuro, alla presenza dei compagni, o che l’ekintza fallisse per colpa sua.

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FRANCO BATTIATO Centro di gravità permanente

Da «La voce del padrone» (1981)

Una vecchia bretone
con un cappello e un ombrello di carta di riso e canna di bambù.
Capitani coraggiosi furbi contrabbandieri macedoni.
Gesuiti euclidei vestiti come dei bonzi per entrare a corte degli imperatori
della dinastia dei Ming.

Cerco un centro di gravità permanente
che non mi faccia mai cambiare idea sulle cose sulla gente
avrei bisogno di
Cerco un centro di gravità permanente
che non mi faccia mai cambiare idea sulle cose sulla gente
over and over again

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WU MING Ostaggi in Assurdistan, ovvero: il lasciapassare e noi (prima puntata)

[Giap, 31 agosto 2021]

0. Introduzione

Questa è una miniserie da leggere con lentezza. «Chi è veloce si fa male», cantava Enzo Del Re. «Se non vale la pena impiegare tanto tempo per dire, e ascoltare, una qualsiasi cosa, noi non la diciamo», dice Barbalbero.

Nelle settimane scorse abbiamo ospitato o segnalato contributi critici sul cosiddetto «green pass», posizioni e analisi altrui che non coincidevano in toto con la nostra.

La nostra posizione l’abbiamo espressa solo tra i commenti, esplicitandola e rifinendola man mano, il che va bene, ma anche sparpagliandola, il che va male. Mancava un testo in cui, sul «green pass» e su questa fase dell’emergenza pandemica, dicessimo come la pensiamo in modo dettagliato e dal principio alla fine.

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BERTOLT BRECHT Generale, il tuo carro armato

Generale, il tuo carro armato è una macchina potente
Spiana un bosco e sfracella cento uomini
Ma ha un difetto:
ha bisogno di un carrista.

Generale, il tuo bombardiere è potente.
Vola più rapido di una tempesta e porta più di un elefante
Ma ha un difetto:
ha bisogno di un meccanico.

Generale, l’uomo fa di tutto.
L’uomo può volare e può uccidere.
Ma ha un difetto:
può pensare.

RICHARD YATES «Papà? Indovina! Ho le mestruazioni!»

Da «Il vento selvaggio che passa», minimum fax, Roma 2020, pp. 465-8

«Il Kansas!», disse Michael al capezzale della moglie, mentre lei, sdraiata, sorseggiava debolmente con una cannuccia del ginger ale da un bicchiere di carta. «Un’incompetenza così goffa la puoi trovare solo nel fottutissimo Kansas».
«Ah, che sciocchezza», rispose lei. «Comunque io lo trovo proprio simpatico».
E lui pensò che si riferisse a uno dei dottori, qualche stronzo del Kansas dal fare paterno che magari le aveva sussurrato qualche parola affabile mentre lei si riprendeva dall’anestesia. «Chi?», volle sapere. «Chi è proprio simpatico?»
«Il bambino», fece lei. «Non trovi che sia un bimbo dall’aria proprio simpatica?»

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Scie (chimiche)

Nei nostri cieli e nei cieli europei, e io stesso sono stato testimone di fenomeni di questo genere […], ci sono aerei che viaggiano ad altezze tra i 10 e i 12 mila metri che non si sa cosa siano […] lasciando scie che hanno una lunga persistenza. Non se ne vanno dopo pochi minuti, non sono scie di condensa, sono proprie scie chimiche. Sono state fatte delle rilevazioni sul terreno scoprendo che dopo l’apparizione delle scie chimiche sulle coltivazioni agricole appaiono sali di bario, sali di alluminio che, secondo alcune valutazioni. scenderebbero da queste scie chimiche. Secondo alcune interpretazioni, servirebbero per fare esperimenti sulle comunicazioni radar, radiofoniche, telefoniche, televisive eccetera eccetera.

Giulietto Chiesa

ANDREA ZANZOTTO Così siamo

Dicevano, a Padova, «anch’io»
gli amici «l’ho conosciuto».
E c’era il romorio d’un’acqua sporca
prossima, e d’una sporca fabbrica:
stupende nel silenzio.
Perché era notte. «Anch’io
l’ho conosciuto».
Vitalmente ho pensato
a te che ora
non sei né soggetto né oggetto
né lingua usuale né gergo
né quiete né movimento
neppure il né che negava
e che per quanto s’affondino
gli occhi miei dentro la sua cruna
mai ti nega abbastanza.

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CESARE PAVESE Ogni guerra è una guerra civile

Da «La casa in collina», cap. XXII

Niente è accaduto. Sono a casa da sei mesi, e la guerra continua. Anzi, adesso che il tempo si guasta, sui grossi fronti gli eserciti sono tornati a trincerarsi, e passerà un altro inverno, rivedremo la neve, faremo cerchio intorno al fuoco ascoltando la radio. Qui sulle strade e nelle vigne la fanghiglia di novembre comincia a bloccare le bande; quest’inverno, lo dicono tutti, nessuno avrà voglia di combattere, sarà già duro essere al mondo e aspettarsi di morire in primavera. Se poi, come dicono, verrà molta neve, verrà anche quella dell’anno passato e tapperà porte e finestre, ci sarà da sperare che non disgeli mai più.
Abbiamo avuto dei morti anche qui. Tolto questo e gli allarmi e le scomode fughe nelle forre dietro i beni (mia sorella o mia madre che piomba a svegliarmi, calzoni e scarpe afferrati a casaccio, corsa aggobbita attraverso la vigna, e l’attesa, l’attesa avvilente), tolto il fastidio e la vergogna, niente accade.

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