Da «Patria», Guanda, Milano 2020, pp. 274-6
La verità: a Joxe Mari, sul sedile accanto all’autista, il cuore batteva forte. Già lungo la strada aveva fatto finta di appoggiare le mani sulle ginocchia. Invece no. Si teneva le gambe per controllare il tremore. Oggi sa che c’è un prima e un dopo della prima vittima uccisa, anche se queste cose, pensa, dipendono da come si è fatti. Perché, è chiaro, fai esplodere con una bomba un ripetitore televisivo, faccio un esempio, o la succursale di una banca, e sì, provochi dei danni, ma sono sempre cose che si possono riparare. Una vita, no. Ora ci pensa con freddezza. Allora lo preoccupava un’altra cosa. Cosa? Be’, che i nervi gli giocassero un brutto tiro. Temeva di mostrarsi debole, insicuro, alla presenza dei compagni, o che l’ekintza fallisse per colpa sua.
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