[La voce di Tristan, 11 febbraio 2021]
Ripartiamo dalle basi. Sono un docente, non faccio semplicemente il docente. Sono e non faccio, anche se oggi si tende a valorizzare di più il saper fare che il saper essere. Aspetta, aspetta, aspetta: dov’è che l’hai già sentita questa? Ma sì, a scuola. La didattica delle competenze, ricordi? Va be’, sorvoliamo, prima che parta l’embolo a te che leggi e a me che scrivo.
Sono un docente, e non sono un eroe. Non sono Luigi delle Bicocche, per intenderci. Non sono un operaio alla catena, un commesso viaggiatore, un barista o un ristoratore. Ma lavoro comunque: lavoro per la Conoscenza. Questa sconosciuta e sprovveduta sottodivinità che il capitale e la logica del conveniente da anni deturpano, attaccandola come se fosse la vera peste del III millennio.
Alla Conoscenza dedico il mio lavoro di docente di scuola superiore. A proposito di Conoscenza, ho visto un concorso postuniversitario senza “le conoscenze” – quegli strumentini facilitatori che ti aprono la strada ovunque, in questo Paese di tangenti e zampate, di raccomandati ai posti di comando.
Ora, sulla Conoscenza lavoro ogni giorno: cercando di insegnare e far conoscere ai miei ragazzi la bellezza dei libri, la profondità di una poesia o la necessità di capire una lezione di storia del passato.
Ebbene, dirai, dove vuoi arrivare? Dove? Eccoti accontentato.
Dal 1° settembre non ho smesso un attimo di pensare alla scuola. E non per la pletora di insignificanti scartoffie burocratiche che continuano a vomitarci addosso manco fossimo i ciambellani di corte di una monarchia nazionale del XIV secolo.
Dal 1° settembre non ho smesso di preparare le lezioni, in presenza e a distanza; di allestire le verifiche, in presenza a distanza; di gestire le interrogazioni, in presenza e a distanza; di condividere i “prodotti didattici” più accattivanti, file video power point schemi mappe, in presenza e a distanza. Eh sì, ho proprio parlato di prodotti didattici, hai capito bene. Sai: perché nella logica della mercificazione che viviamo, anche la poesia è un prodotto, anche un documentario di storia è un prodotto. Non sono risultati, insiemi di idee e di valori, no. Sono barattoli, mollette per capelli, pacchi di cartone, ad uso e consumo degli studenti trasformati in utenti, utilizzatori finali, consumatori seriali di una didattica prêt-à-porter buona solo per qualche stagione.
La scuola stessa è un prodotto: forse quello più ghiotto per un mercato che finora era rimasto accucciato fuori dal ristorante, e che invece ora viene invitato in pompa magna alla tavola delle autorità. Perché si sa: il mercato sa offrire e allettare. E allora via: ecco corsi di formazione/aggiornamento, webinar, collegamenti video per la Giornata della Memoria, per la Giornata del Ricordo, per la Giornata delle Donne, per la Giornata contro il Bullismo, per la Giornata contro il cyberbullismo, per la Giornata dell’Acqua dell’Aria e della Terra, per la Settimana contro la discriminazione dei gatti, per la Giornata dei calzini spaiati, per la Giornata a favore della lotta contro la lotta armata dei procioni ecc. Il tutto con l’elegante istituzionale beneplacet di ministri, funzionari, ispettori salariati, dirigenti, referenti di progetti, referenti di percorsi, referenti di plesso. E ovviamente con le gloriose sponsorizzazioni di negozi di telefonia, sigle dell’informatica, aziende farmaceutiche e tutte le altre mirabilia del mercato globale. Il privato che sfonda, il mercato che spacca, il capitale che rompe il sacro suolo dell’istruzione pubblica e, dotandola di una bara d’oro, prepara il colpo di grazia.
E noi docenti, nel frattempo? E gli studenti, nel frattempo? Sono un intralcio, si è capito. Perciò è dal 1° settembre – anzi, in realtà non si è finito mai di farlo – che la scuola è stata fatta ripartire a oltranza, in attesa degli eventi esterni. Costringendoci a navigare a vista e ad ammansire ogni volta i nostri alunni, capitani alle prese con un equipaggio pronto ad ammararsi per paura della tempesta.
Dal 1° settembre, in presenza e a distanza, abbiamo richiamato i nostri ragazzi, abbiamo ricordato loro che salute e istruzione sono diritti fondamentali che devono tenere stretti, come le cose più preziose della loro vita di esseri umani e sociali, che la mascherina è sacrosanta, che il distanziamento sociale è indispensabile, che la prudenza e l’accortezza sono le uniche armi che abbiamo per tenere lontano il grande rischio Covid che ci attanaglia.
Dal 1° settembre, in presenza e a distanza, abbiamo discusso con i colleghi, fra i corridoi sulle scale o via telefono per mattinate o pomeriggi interi, per vedere come fare, per trovare le strategie giuste per coinvolgere le classi vecchie e nuove, per scardinare la sfiducia che i ragazzi sempre più nutrono verso se stessi e il loro tempo plumbeo, verso un presente annaspante e un futuro mai incerto come in quest’epoca di pandemie sanitarie e sentimentali.
Dal 1° settembre abbiamo tutti trasformato le nostre potenzialità tentacolari, tenendo dispositivi accesi h24 e 7 giorni su 7 a completa disposizione di alunni e famiglie. E ad esse abbiamo aggiunto un nuovo ruolo: quello di teleimbonitori, che dalla scrivania di casa o di un corridoio morto provavano e provano tuttora con gestualità da clown e da saltimbanchi a catturare un’attenzione sempre più labile, un disinteresse sempre più strisciante. Frutti dell’innegabile stanchezza mentale che affligge non tanto noi, quanto loro: i nostri ragazzi, le risorse vere del Paese che verrà.
Dal 1°settembre abbiamo fatto corsi di recupero, recuperi in itinere, programmazioni disciplinari e di dipartimento. Giusto per non farmi mancare il resto.
Dal 1° settembre io, noi, i miei e nostri ragazzi, abbiamo lavorato. La-vo-ra-to, come qualsiasi altro lavoratore, pubblico o privato, dipendente pubblico o lavoratore salariato. Abbiamo lavorato. Abbiamo svolto il nostro mestiere, la nostra funzione. In mezzo a difficoltà strutturali enormi, su cui conviene stendere un velo pietoso. Ricordandoci più che altro questo.
Che ben prima del 1° settembre, invece di parlare di Scuola, di didattica di qualità, di edilizia scolastica, di assunzioni di personale di materia e di sostegno, abbiamo visto e sentito sviare:
- Banchi a rotelle
- Rime buccali
- Barriere di plexiglass
- DaD
- DDI
- Ambienti virtuali
- Piattaforme tecnologiche
- Protocolli di sicurezza
E tutte le altre genialate partorite dalla politica costituita e dall’onda massmediale utili solo a spostare l’attenzione dell’opinione pubblica dai problemi reali e atavici della scuola (ne parlo in questa sezione)
Prima del 1°settembre abbiamo sentito in sfilata i politici italiani pappagallare sulla scuola e spararle una più grossa dell’altra, rovesciando addosso a noi che la scuola la facciamo tutto il loro carico di retorica finta e costernata, un linguaggio da palude di chi si batte il petto come a messa e poi appena fuori sul sagrato sghignazza alle spalle del santo che ha appena pregato.
Dal 1° settembre sulla scuola abbiamo sentito le stesse identiche cose, lo stesso squallido teatrino di politica e giornalisti, opinionisti e professori della domenica. Tutti all’improvviso ridiventati esperti di quella scuola che forse li ha licenziati troppo presto, dato il loro misero/miserabile livello culturale.
Dal 1° settembre, o forse già prima, i nostri ragazzi hanno iniziato a capire. Hanno denudato il re, hanno sgamato l’inghippo: lo hanno capito ormai che voi, che adesso andate in sfilata nei palazzi romani invocando l’arrivo di un nuovo Salvator Patriae, voi siete tutti protagonisti di una farsa, di una grande bugia ordita sopra il loro futuro.
Ora, non trovate di meglio che partorire il prolungamento dell’anno scolastico per proseguire lo stillicidio di un’intera generazione di esseri umani, futuri cittadini che volete schiavizzare sin da ora. In spregio di ogni sacrificio che noi docenti e noi studenti abbiamo portato avanti, per fare scuola, in quest’anno di pandemia. Il tutto mentre voi fabbricavate aria fritta, rinviando a un imprecisato domani quello che si doveva fare allora, e immediatamente.
Invece di immaginare la scuola di luglio, ora avete due strade davanti: o parlate col creatore e vi inventate un nuovo calendario, con due giorni in più a settimana (proposta nomi: freschedì e lattedì, tanto per venire incontro alle vostre mirabolanti fantasie) e una decina di ore in più al giorno; oppure, per una volta, tacete. Con una delle due soluzioni farete senz’altro bella figura. Indovinate quale.