[Da The Economist, tradotto da Internazionale, 1382, 30 ottobre 2020]
Per contrastare la pandemia evitando i lockdown, alcuni vorrebbero puntare sull’immunità di gregge. Una strategia troppo incerta e rischiosa, rispondono in molti
La seconda ondata della pandemia si sta abbattendo sul mondo e i lockdown sembrano tornati di moda. Questa volta,però, è difficile farli digerire ai cittadini. Le chiusure sono indispensabili per salvare vite umane, ma a questo punto è chiaro che anche la perdita di posti di lavoro, i danni psicologici e le interruzioni nei servizi medici e scolastici hanno un costo in termini sia di benessere sia di decessi. In mancanza di un vaccino o di una terapia efficace è inevitabile chiedersi fino a quando potremo andare avanti così. Il 4 ottobre tre esperti delle università di Harvard, Oxford e Stanford hanno pubblicato una petizione per invitare i governi a fare un’inversione di rotta. La dichiarazione di Great Barrington, dal nome della città del Massachusetts in cui è stata firmata, propone di non ostacolare il contagio tra le persone giovani e in saIute e di proteggere solo i più vulnerabili. Quest’approccio si basa sul concetto di immunità di gregge, secondo cui la malattia smetterà di diffondersi quando una parte sufficiente della popolazione sarà diventata immune dopo essersi infettata.
Tesi
L’idea di fondo è controversa. Il 14 ottobre un altro gruppo di esperti l’ha contestata pubblicando una petizione sulla rivista The Lancet. Anche questo secondo documento ha un titolo altisonante: il Memorandum di John Snow, dal nome di un medico inglese che a metà dell’ottocento fissò i principi dell’epidemiologia. Il memorandum invita i governi a fare il possibile per arginare la diffusione del sars-cov-2, il coronavirus che causa il covid-19. In particolare, gli scienziati propongono di mantenere le restrizioni fino a quando i governi non perfezioneranno i sistemi per testare, tracciare e isolare le persone infette.
La proposta del Great Barrington è senz’altro rischiosa. In questo momento sostenere che una diffusione naturale del sars-cov-2 possa creare un’immunità di gregge è prematuro, anche perché non è ancora chiaro se le persone contagiate dal virus sviluppino un’immunità duratura, né quanto quest’ipotetica immunità sia comune. Finora i casi d’infezione ripetuta confermati in modo certo sono pochi, ma molti casi di seconda infezione potrebbero essere sfuggiti. Circa l’80 per cento delle persone contagiate ha sintomi lievi o nessun sintomo, e la grande maggioranza di questi casi non è rilevata. Per eliminare quest’incertezza bisognerebbe testare frequentemente buona parte delle persone già contagiate, verificando quante di loro sono state infettate di nuovo. Tuttavia individuare chi ha contratto forme asintomatiche o lievi della malattia è estremamente difficile. I test che rilevano la presenza di anticorpi contro il sars-cov-2 spesso non riescono a individuarli nei casi più lievi. Alcuni studi hanno riscontrato che gli anticorpi di questi pazienti si riducono con il passare del tempo, ma non è chiaro se questo corrisponda a una riduzione dell’immunità.
Se la risposta immunitaria al sars-cov-2 fosse simile a quella degli altri sei coronavirus che colpiscono gli esseri umani, una diffusione libera del contagio finirebbe per rallentare la trasmissione del virus, almeno per un certo periodo. Il problema è stabilire quanto sia lungo questo periodo. Quattro di questi sei coronavirus provocano sintomi descritti come “raffreddore comune”. In questi casi il contagio garantisce una protezione che dura in genere meno di un anno. Gli altri due coronavirus che attaccano le persone (quelli della sars e della mers) provocano invece malattie gravi, e l’immunità si prolunga per diversi anni. Se la protezione successiva all’infezione da sars-cov-2 fosse effimera o non particolarmente forte, il virus continuerebbe a ripresentarsi in ondate epidemiche. Se invece l’immunità fosse di lunga durata, la tesi del Great Barrington sarebbe più plausibile.
Antitesi
In ogni caso gli autori del Memorandum sostengono che la proposta di Great Barrington provocherebbe una quantità enorme di decessi e danni permanenti anche se la scommessa sull’immunità di gregge dovesse rivelarsi giusta. La percentuale della popolazione che dovrebbe essere contagiata per ottenere l’immunità di gregge dipende dalla facilità di trasmissione del virus. Nella sua forma più semplice la soglia dell’immunità di gregge rispetto alla popolazione è data dalla formula 1-(1/R), in cui R è il numero medio di persone contagiate da una persona infetta. Senza alcun distanziamento fisico, il valore R per l’Europa varia fra 3 e 4. Questo significa che l’immunità di gregge si verificherebbe solo dopo il contagio di due terzi o tre quarti della popolazione. Questa formula, però, parte dal presupposto che tutti abbiano la stessa probabilità di essere contagiati, cosa che nella realtà non succede. Se le possibilità di contrarre il covid-19 variano, allora la soglia si abbassa. I giovani, per esempio, hanno più contatti rispetto agli anziani, quindi hanno maggiore probabilità di essere infettati. Secondo alcuni modelli che comprendono una varietà plausibile nei tassi di contagio, la soglia dell’immunità di gregge in Europa sarebbe del 43 per cento.
Inoltre la soglia potrebbe risultare ulteriormente ridotta dall’immunità pregressa conferita da incontri passati con gli altri coronavirus che provocano il raffreddore. Questa protezione deriverebbe dai linfociti T della memoria. A differenza degli anticorpi, che sono progettati per aggredire un particolare patogeno, le celIule T possono riconoscere e attaccare diversi tipi di “intrusi “. Alcuni studi sui campioni di sangue prelevati prima dell’arrivo del sars-cov-2 hanno riscontrato nel 20-50 per cento dei casi la presenza di linfociti T che garantiscono una reazione robusta al virus. È un risultato incoraggiante, ma non sappiamo se le persone che possiedono questi linfociti T, una volta esposte al sars-cov-2, presenterebbero forme più lievi di covid-19, o addirittura nessuna. Un focolaio di covid-19 scoppiato su una portaerei francese si è spento solo dopo che il 70 per cento dell’equipaggio è stato contagiato. La vicenda suggerisce che l’idea di un’immunità incrociata dovuta al raffreddore comune possa essere una chimera.
Tutto questo significa che nel caso di una diffusione incontrollata del sars-cov-2, nel corso di sei mesi metà della popolazione (o forse di più) sarebbe infettata. La proposta di Great Barrington ipotizza uno scenario simile e suggerisce ai governi di concentrarsi sulla protezione dei più vulnerabili. Identificare queste persone non è così semplice, ma la conoscenza delle combinazioni più pericolose tra i fattori di rischio sta migliorando costantemente. Uno studio pubblicato sul British Medical Journal il 20 ottobre descrive un sistema per calcolare il rischio di contrarre il covid-19, in grado di stabilire la probabilità di ricovero e decesso usando i dati relativi a sei milioni di britannici. La verifica dell’algoritmo su altri due milioni di persone ha dimostrato che il 5 per cento dei soggetti per cui era stato previsto un rischio maggiore ha rappresentato il 75 per cento dei decessi per covid-19.
Il problema è che la consapevolezza di questi punteggi di rischio e dei fattori di rischio più semplici (in particolare età avanzata, obesità e diabete) spesso si rivela poco utile. La maggior parte delle persone non può cambiare la propria vita eliminando il rischio d’infezione, soprattutto nei luoghi con molti casi di contagio. Le persone che si occupano dei più vulnerabili o vivono nella stessa casa finirebbero per essere infettate, trasmettendo il virus a quelli che andrebbero protetti. Inoltre, anche se la maggior parte dei decessi dovuti al covid-19 è costituita dagli anziani, molti giovani adulti sono comunque esposti a un grande rischio. All’apice dell’epidemia, per esempio, tra gli inglesi e i gallesi di età compresa tra 45 e 64 anni si è registrata una mortalità superiore dell’80 per cento rispetto alla norma.
Nonostante la grande maggioranza delle persone non sviluppi forme gravi della malattia, circa il 5 per cento di chi presenta sintomi resta malato per almeno otto settimane. Alcuni non si sono ancora ripresi dopo sei mesi di malattia, e si teme che possano non tornare mai più alla normalità. Anche se di quest’ultimo gruppo fa parte meno dell’1 per cento dei contagiati, in un paese delle dimensioni del Regno Unito significa che centinaia di migliaia di persone saranno condannate a vivere con una disabilità permanente. Un’altra incognita riguarda le possibili complicanze nascoste del virus. Alcuni studi hanno riscontrato piccoli cambiamenti nell’attività cardiaca dopo la manifestazione di una forma lieve di covid-19. Probabilmente passeranno anni prima di capire se queste anomalie comportino gravi disturbi cardiaci.
Sintesi?
In quest’ottica il piano di Great Barrington presenta enormi rischi, ma anche risultati decisivi. L’approccio John Snow, invece, ridurrebbe il numero di decessi sul breve periodo, ma nel lungo periodo la perdita di vite umane a causa del lockdown e di altre misure potrebbe essere più alta. Se i governi miglioreranno i sistemi di test e tracciamento indispensabili per sostituire le misure di contenimento, gli argomenti a sostegno del piano di Great Barrington diventeranno meno convincenti. Con un po’ di fortuna, comunque, il dibattito sarà reso irrilevante dal vaccino o da un farmaco efficace. Se il covid-19 diventerà meno mortale e ci sarà una certa dose di immunità grazie a un vaccino, i percorsi indicati dalle due petizioni finiranno per coincidere.