[Volerelaluna, 14 settembre 2020]
«Ti pare giusto? L’istruzione è obbligatoria,
ma la scuola non è un diritto: è una lotteria!»
C’eravamo tanto amati, Ettore Scola, 1974
In questo clima apocalittico segnato dal Coronavirus, sono tornate di attualità diverse suggestioni bibliche: il capro espiatorio, il sacrificio di Isacco, ammazzare il vitello grasso e così via. Oggi si dà per scontato, infatti, che per salvaguardare una collettività sia lecito ledere i diritti di un singolo o di una minoranza, fatto che viene tranquillamente accettato in base al principio del male minore.
Si è iniziato, a febbraio, con l’istituzione della zona rossa nel basso lodigiano. La creazione di un ghetto avrebbe dovuto preservare il resto d’Italia, quando in realtà era semplicemente un chiudere la stalla a buoi già scappati. E l’effetto placebo psicologico (il male è circoscritto) è stato controproducente, visto che il senso di sicurezza ha autorizzato comportamenti disinvolti in zone che erano già altrettanto compromesse, ma senza saperlo.
Ora questa stessa logica si adotta alla riapertura delle scuole. Ricercare spazi adeguati e incrementare il numero del corpo docente avrebbe permesso di garantire a tutti gli alunni lezioni in presenza ed equità di trattamento. E questa era, a parole, la linea del Governo. Purtroppo per fare queste cose servono soldi, che sono stati stanziati in modo assolutamente insufficiente. Quindi la soluzione più semplice, che il ministero dell’Istruzione ha autorizzato in modo più largo per le scuole secondarie di II grado (le cosiddette superiori, ossia gli adolescenti che si possono serenamente lasciare in casa incustoditi), è la didattica a distanza. La DAD, infatti, è una parola magica: permette alla scuola di fare scuola anche senza scuola, come quelle torte dietetiche senza burro né uova né farina. Di cosa siano fatte non si sa, ma intanto la torta esce dal forno, così come la DAD permette di servire sul piatto un anno scolastico formalmente completo.
Non tocca però a tutti un’eguale fetta di DAD, perché qui interviene il prettamente italico fattore lotteria, come da citazione del film di Scola. Così capita che l’assegnazione delle aule sia un gioco ad incastro che combina capienza potenziale e numero di alunni di una classe: se coincidono è fatta, se sono di più si salta un turno e gli alunni in più retrocedono di qualche casella (un tot di giorni al mese), venendo mandati a studiare soli soletti a casa, ma col caldo conforto della tecnologia. La cosa buffa è che non va bene neppure se sono di meno, perché occuperebbero abusivamente spazi eccessivi, quindi devono lasciare l’aula ad altri e andare alla ricerca di un’altra casella, col rischio di trovarne una troppo piccola e quindi essere anch’essi lasciati a casa in rotazione.
Ci troveremo quindi, a giugno, con alunni che hanno usufruito di nove veri mesi di scuola, altri di sei, di sette o di cinque, con differenze generate esclusivamente dal caso, dalla fortuna, dal destino, da Dio (a scelta, in base alla posizione filosofica adottata).
Ma sarà tutto a posto. Formalmente. Quindi, di che ci preoccupiamo?