«Gilet gialli: la vittoria dei vinti». Intervista a Edwy Plenel

[«Micromega», 2 aprile 2019]

Quale lezione dunque la sinistra può trarre da questo movimento?

Che occorre uscire rapidamente dal XX secolo. Ed è ciò che la sinistra non riesce ancora a fare. Il XX secolo è quello della grande tragedia: caduta dell’URSS, conversione della socialdemocrazia al liberalismo economico, sinistre di governo che si consacrano allo stato più che alla società, il secolo del partito come proprietà, della professionalizzazione della politica. Si dovrebbe a mio avviso guardare più al XIX secolo, al principio cioè del movimentismo e delle battaglie per l’uguaglianza: in quelle masse in cui si mescolano persone di orizzonti diversi, borghesi e proletari, massoni o libertari si veicola un’unica questione: quella dell’uguaglianza. A questo orizzonte di ricerca dell’uguaglianza propria ai moti del 1830, del 1848 e del 1871 si dovrebbe ispirare la sinistra oggi.

Attorno ai gilet gialli ho visto crearsi delle piattaforme di intenti: essere accolti a Caen in uno squat di migranti, fare un’assemblea a Commercy per chiedere gli stessi diritti sociali per tutti coloro che vivono in Francia di qualunque nazionalità etc. Siamo di fronte ad una catastrofe politica, sociale e democratica, una crisi di civiltà. Oggi più che mai possiamo rifarci alla lezione di Benjamin che rispondendo a Marx (“le rivoluzioni sono le locomotive della storia”) indica la soluzione nei passeggeri (che hanno orizzonti molto diversi tra loro) i quali rendendosi conto che il treno si schianterà contro un muro decidono finalmente di azionare il freno d’emergenza.

Tra i gilet gialli si muovono però forze inquietanti, radicali…

Non nego che i gilet gialli siano attraversati da forze verticali, autoritarie ma qui è il punto della questione: se restiamo in panchina a vedere cosa succede in campo è a questi personaggi che regaliamo i gilet gialli. Il mio libro è anche un appello alle forze di emancipazione per accompagnare i gilet gialli, per impedire che scivolino verso derive autoritarie. Non prendiamoci in giro. Il potere francese detesta i gilet gialli, fa di tutto perché questo popolo sia definito brutto, vile, violento. Perché? Perché vuole lo scontro, creare la dicotomia “o l’estrema destra oppure noi”, “o il caos o noi”. Ma così agendo, assomiglia a questo caos. Il governo francese ha scelto la repressione ed è in piena deriva autoritaria. In campo sono scesi addirittura i blindati e i militari per reprimere un diritto fondamentale, quello di manifestare. La polizia ha in dotazione granate con esplosivo, che hanno provocato un morto, una persona ha perso un occhio, cinque persone hanno perso una mano. Abbiamo repertoriato oltre 600 atti di violenza poliziesca illegittima, ci sono oltre 2.000 condanne. Una cosa mai vista in nessun movimento sociale in Francia. Ci sono state gravi violenze nei movimenti operai nel ’79 ma non c’è stata mai una repressione simile, neanche nel ‘68. La violenza che si è espressa di converso non contro persone ma contro simboli (banche, ristoranti di lusso) è una reazione a questo stato di repressione. Poi di fronte alla paura di questo popolo ‘dei bassifondi’ c’è stata anche la levata di scudi di alcuni intellettuali (vedi Lui Ferry, Alain Finkielkraut), dei benestanti, dei possidenti che hanno ingaggiato lo stato al proprio servizio, per trasformarlo in uno stato di violenza sociale. Si comportano proprio come quegli intellettuali che stigmatizzarono i resistenti della Comune di Parigi e lodarono le repressioni sanguinose del potere (vedi lo stesso Zola). Ecco perché se si lascia i gilet gialli abbandonati a sé stessi, senza solidarietà e soli di fronte ad un apparato governativo repressivo si favorisce soltanto la regressione politica. Vuol dire metterci di nuovo davanti alla scelta obbligata Macron o Le Pen. Ma già ci hanno fatto questo scherzetto nel 2017. Non si può più ripetere.

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