Da «La mala erba»
Non c’era il sindaco a presenziare, ma un assessore con una fascia tricolore messa di traverso. Si strinsero le mani. Il dottor Moresi, questo era il nome dell’officiante, aveva un bel sorriso e fece finta di niente quando cercò di stringere la mano a Mariuccio e quello se la tenne almeno un minuto buono di orologio scuotendogliela in su e in giù e spettinandogli il ciuffo. I due novelli sposi si misero seduti davanti al tavolo e Moresi cominciò a leggere gli articoli del codice civile.
«…con il matrimonio i coniugi assumono gli stessi diritti e gli stessi doveri…».
Mariuccio aveva gli occhi chiusi e dondolava appena la testa. Moresi arrestò per un attimo la lettura. «Ma sta bene?» chiese a Cicci che annuì e gli fece cenno di proseguire. «Forse due pasticche erano troppe, dottore» mormorò Benito. Cicci gli fece cenno di tacere.
«Dal matrimonio deriva l’obbligo reciproco alla fedeltà», poi l’assessore in vena di spiritosaggini gettò un’occhiata malandrina a Mariuccio Bellè. «Mi raccomando, eh?», ma nessuno sorrise alla facezia dell’ufficiale che con un colpo di tosse riprese la lettura: «…all’assistenza morale e materiale, alla collaborazione nell’interesse della famiglia e alla coabitazione».
Il capo di Mariuccio crollò di lato, sedato peggio di un paziente in sala operatoria a mala pena riusciva a stare seduto. Cicci decise di avvicinarsi per puntellarlo. «È stanco e ha preso delle medicine» si giustificò con l’ufficiale. Samantha lo guardava, poi scambiò uno sguardo con Nadia che cercava di reprimere una risata.
«… Entrambi i coniugi sono tenuti, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo, a contribuire ai bisogni delta famiglia. Ora passiamo all’articolo 144 del codice civile… si sente bene?» chiese l’assessore a Mariuccio che ormai era quasi abbracciato a suo padre. Aveva la fronte imperlata di sudore ed era più bianco della tenda di merletto che copriva la finestra alle spalle del grande tavolo in radica.
«Sì, sta bene, sta bene, non si preoccupi» fece Cicci, «gliel’ho detto, prende dei medicinali ma sta benone, continui pure».
«Allora… i coniugi concordano tra loro l’indirizzo della vita familiare e fissano la residenza della famiglia secondo le esigenze di entrambi e quelle preminenti della famiglia stessa. A ciascuno spetta il potere di attuare l’indirizzo concordato» e guardò i due giovani.
«Palazzo Bellè a Colle San Martino» disse Samantha, «è lì che andiamo ad abitare e ci viene anche mia madre».
«Vabbè, la cosa riguarda voi, no, io dicevo… ».
Ma Cicci interruppe l’ufficiale. «Non lo so se ci viene tua madre, signorina!».
Samantha si voltò come una feria. «Allora non se ne fa niente!» e fece per andar via.
«C’è qualche problema?» disse l’assessore Moresi, mentre Mariuccio apriva all’improvviso gli occhi. «Samantha… » mormorò, poi li richiuse.
«Va tutto bene, tutto bene, vada avanti» disse ancora Bellè.
«Perfetto». Il doctor Moresi si schiarì ancora la gola. Notò che Mariuccio aveva perso la lotta e teneva le palpebre chiuse. Mormorava: «No… la principessa… bianche… ».
«Non ho capito. Che sta dicendo?» chiese Moresi. «Niente, cazzate sue, non dia retta» fece Cicci che rinforzò la presa sul figlio.
«Ma mi sta dicendo qualcosa!» insisté l’ufficiale.
«Ma che gli parla a fare?» intervenne Samantha risedendosi, «non lo vede che è un povero scemo? Vada avanti per piacere e finiamola con questa pagliacciata».
L’ufficiale avvampò e dovette allargarsi il colletto della camicia per prendere un po’ d’aria. Ida guardò il marito che stava sorridendo, Marinella invece avrebbe voluto sprofondare nella sedia di velluto rosso.
«Il matrimonio impone ad ambedue i coniugi l’obbligo di mantenere, istruire ed educare la prole tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli». L’assessore scoccò un’occhiata sarcastica alla nuova coppia. Mariuccio aveva richiuso gli occhi e mormorava parole inintelligibili.
«E adesso amici miei siamo alla domanda di rito. Siete pronti?».
Samantha annuì. Mariuccio se ne stava a bocca aperta. Moresi lo prese per un sì. «Allora vuoi tu Mario Bellè prendere in moglie la qui presente Samantha De Santis?».
Bellè gli diede uno spintone. Mariuccio aprì gli occhi. «Che devi dire? Mariuccio? Vuoi Samantha?».
«S… sì!» disse debole e ripiombò nel suo dormiveglia.
«E tu Samantha De Santis, vuoi prendere in sposo il qui presente Mario Belle?».
«Sì, dai, su… » fece la ragazza alzando gli occhi al cielo.
«Bene. Allora per i poteri che mi conferisce lo Stato italiano, io vi dichiaro marito e moglie».
Rimasero tutti in silenzio a guardarsi. «Può baciare la sposa!».
«Non se ne parla!» fece Samantha.
«Allora scambiatevi gli anelli».
«Benito!» urlò Cicci e quello si alzò dalla sedia.
«Sì?».
«Gli anelli, Cristo Madonna e Santi!» imprecò Cicci.
Benito si controllò le tasche e corse verso il tavolone. Mollò gli anelli al padrone e si ritirò. Nadia e Ida trattenevano a stento il riso. Primo invece si godeva la scena sereno come fosse a teatro. Cicci infilò rapidamente l’anello nell’anulare di Samantha. «Senta, dovrebbe farlo lo sposo!» intervenne Moresi.
«Ci facciamo notte se lo facciamo fare a lui!» gli rispose Cicci che era una locomotiva a vapore pronta ad esplodere. Poi infilò la fede al dito di Mariuccio che ormai dormiva.
«Sì, però lasciatemi dire che è uno schifo!» sbottò l’assessore prendendo il registro. «Mo’ qui, testimoni e sposi a firmare, grazie». Samantha scarabocchiò il nome in un attimo. Mariuccio fu aiutato da Cicci che afferrò e condusse mano e penna sul registro e firmò alla meno peggio. Poi finalmente venne la volta di Ida, e concluse Benito.
Moresi sbattè il registro soddisfatto «Bene. È fatta!», poi io poggiò di lato e proseguì: «Tradizione vuole che l’officiante faccia un discorso di incoraggiamento ai due giovani. Oppure gli legga una poesia. Io avevo preparato…» e dalla tasca cacciò una carta spiegazzata «… un brano di Coelho, dall’Alchimista, ma non mi pare il caso».
«No, non mi pare il caso» concordò Samantha.
Moresi accettò e con un mezzo inchino molto signorile si rimise la carta in tasca. Poi, molto meno nobilmente, riprese la parola e disse: «Be’, allora che volete che vi dica? Andate, siete sposati. Fatevi una famiglia, anche se da quel poco che ho visto, il buongiorno si vede dal mattino… Ora vorrete scusarmi, ma i doveri della mia posizione pubblica mi chiamano. Vi lascio, sperando di non dovervi rincontrar mai più, neanche in una fila alle casse di un supermercato. Pace e bene!» e come un papa urbi et orbi, salutò il gruppo che disordinatamente e un po’ stordito dal discorso dell’assessore lascio la sala comunale. Benito e Cicci furono aiutati da Primo perché Mario andava trasportato di peso.