Da «Lacerba», ottobre 1914
1. Finalmente è arrivato il giorno dell’ira dopo i lunghi crepuscoli della paura. Finalmente stanno pagando la decima dell’anime per la ripulitura della terra. Ci voleva, alla fine, un caldo bagno di sangue nero dopo tanti umidicci e tiepidumi di latte materno e di lacrime fraterne. Ci voleva una bella innaffiatura di sangue per l’arsura dell’agosto; e una rossa svinatura per le vendemmie di settembre; e una muraglia di svampate per i freschi di settembre. È finita la siesta della vigliaccheria, della diplomazia, dell’ipocrisia e della pacioseria. I fratelli son sempre buoni ad ammazzare i fratelli: i civili son pronti a tornar selvaggi; gli uomini non rinnegano le madri belve.
Non si contentano più dell’omicidio al minuto: in ogni canto del mondo è aperto un macello all’ingrosso per decreto reale, imperiale, mikadiale e repubblicano. Giorno per giorno si sgozza e si sbuzza, si sbudella e si sbrana; si spezza e si sfracassa; si fucila e si mitraglia: si brucia e si bombarda. Il boia può stare a gamba stesa; ogni cittadino giovane, valido e patriottico gli ruba il mestiere. I poveri assassini (involontari anacoreti) annusano e si rinfrancano dietro i cancelli e darebbero volentieri una mano. I cimiteri, finalmente, si socchiudono: le trincee non hanno forse la forma e l’ufficio di grandi fosse comuni? Com’è bella, da monte a monte, la voce sonora e decisa dell’artiglieria! Come ricopre bene, coi suoi tonfi lunghi e larghi, i pistolotti degli avvocati, i razzi dei poeti e i boati delle folle incattivite! Il cannone non fa che un verso ma quel verso riempie per giornate intere gli stupidi cieli agresti da troppo tempo stagnanti e rimane scritto sul campo di mira a lettere di sangue con svolazzi di fumo.
2. Siamo troppi. La guerra è un’operazione malthusiana. C’è un di troppo di qua e un di troppo di là che si premono. La guerra rimette in pari le partite. Fa il vuoto perché si respiri meglio. Lascia meno bocche intorno alla stessa tavola. E leva di torno un’infinità di uomini che vivevano perché erano nati; che mangiavano per vivere, che lavoravano per mangiare e maledicevano il lavoro senza il coraggio di rifiutar la vita. Fra le tante migliaia di carogne abbracciate nella morte e non più diverse che nel co – lore dei panni, quanti saranno, non dico da piangere, ma da rammentare? Ci metterei la testa che non arrivano ai diti delle mani e dei piedi messi insieme. E codesta perdita, se non fosse anche un guadagno per la memoria, sarebbe a mille doppi compensata dalle tante centinaia di migliaia di antipatici, coglioni, farabutti, idioti, odiosi, sfruttatori, disutili, bestioni e disgraziati che si son levati dal mondo in maniera spiccia, nobile, eroica e forse, per chi resta, vantaggiosa. Non si rinfaccino, a uso di perorazione, le lagrime delle mamme. A cosa posson servire le madri, dopo una certa età, se non a piangere? E quando furono ingravidate non piansero: bisogna pagare anche il piacere. E chissà che qualcuna di quelle madri lacrimose non abbia maltrattato e maledetto il figliolo prima che i manifesti lo chia – massero al campo. Lasciamole piangere: dopo aver pianto si sta meglio.
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5. La guerra, infine, giova all’agricoltura e alla modernità. I campi di battaglia rendono, per molti anni, assai più di prima senz’altra spesa di concio. Che bei cavoli mangeranno i francesi dove s’ammucchiarono i fanti tedeschi e che grasse patate si caveranno in Galizia quest’altro anno! E il fuoco degli scorridori e il dirutamento dei mortai fanno piazza pulita fra le vec chie case e le vecchie cose. Quei villaggi sudici che i soldatacci incendiarono saranno rifatti più belli e più igienici. E rimarranno anche troppe cattedrali gotiche e troppe chiese e troppe biblioteche e troppi castelli per gli abbrutimenti e i rapimenti e i rompimenti dei viaggiatori e dei professori. Dopo il passo dei barbari nasce un’arte nuova fra le rovine e ogni guerra di sterminio mette capo a una moda diversa. Ci sarà sempre da fare per tutti se la voglia di creare verrà, come sempre, eccitata e ringagliardita dalla distruzione.
6. Amiamo la guerra ed assaporiamola da buongustai finché dura. La guerra è spaventosa – e appunto perché spaventosa e tremenda e terribile e distruggitrice dobbiamo amarla con tutto il nostro cuore di maschi.