A Dacca un fabbricato di otto piani è crollato e sono morti centinaia di operai. Lavoravano in assenza delle più elementari condizioni di sicurezza e producevano capi per conto di multinazionali.
Erano tutti imprenditori del tessile, da Acerra a Monza, i 9 italiani massacrati in Bangladesh.
Non erano operai sfruttati a pochi centesimi all’ora i responsabili del feroce attentato a Dacca, ma tutti esponenti della classe media locale.
Era “islamico” il ragazzo che ha rifiutato la salvezza in nome della sua conoscenza del Corano.Ha scelto la morte in nome delle sue amicizie internazionali.
Allora questi sono alcuni degli elementi di questo terribile puzzle.
Ma attenzione, qui non si sta parlando solo di Dacca, ma anche di Acerra, della provincia comasca, dell’Italia, dell’Asia, del mondo.
Un mondo brutto, di sfruttamento e di “licenza” di sfuttamento rapace, violento, assassino… globalizzato senza nessuna regola, “sommerso” e collegato dalle non regole.
Un mondo che frequentiamo nei nostri ossessivi shopping , ma che cancelliamo nell’anonimato della sua atroce produzione delocalizzata e della disoccupazione che ne deriva “in patria”.
Un mondo reale, frequentatissimo, sul quale tutti gli occhi sono chiusi e tutte le bocche tacciono… come i morti che ne derivano.
Allora attenzione a parlarne a vanvera. O ci si decide a rappresentarcelo e ad affrontarlo così com’è nella sua enorme e complicata tragedia globale di produzione , commercio e consumo impazziti… o fatemi il piacere : basta con “le ruspe”, con “la patria”, con il “made in Italy”, con “‘l’Europa” che si “norma” ma compartecipa nelle sue “non norme”, nelle sue società fantasma, nei suoi paradisi fiscali, con tutte le chiacchiere di merda a copertura. Stiamoci un po’ zitti tutti quanti, che è meglio.
Lidia Mazzola, 4 luglio 2016