[Diario di scuola, p. 218]
II buon senso pedagogico dovrebbe rappresentarci il somaro come lo studente più normale che ci sia: quello che giustifica pienamente la funzione di insegnante poiché abbiamo tutto da insegnargli, a cominciare dalla necessità stessa di imparare! E invece no. Sin dalla notte dei tempi scolastici, lo studente ritenuto normale è quello che oppone meno resistenza all’insegnamento, quello che si presume non dubiti del nostro sapere e non metta alla prova la nostra competenza, uno studente che ci faciliti il compito, dotato di una capacità di comprensione immediata, che ci risparmi la ricerca delle vie d’accesso al suo intelletto, uno studente naturalmente fornito di capacità di apprendimento, che cessi di essere un ragazzino turbolento o un adolescente problematico durante la nostra ora di lezione, uno studente convinto sin dalla culla della necessità di tenere a freno i propri istinti e le proprie emozioni mediante l’esercizio della ragione se non si vuole vivere in una giungla di predatori, uno studente consapevole che la vita intellettuale è una fonte di piaceri che possiamo variare all’infìnito, rendere sempre più raffinati, mentre la maggior parte degli altri piaceri è condannata alla monotonia della ripetizione o all’usura del corpo, insomma uno studente che abbia capito, che il sapere è l’unica soluzione. Soluzione allo stato di schiavitù in cui ci terrebbe l’ignoranza e consolazione unica alla nostra ontologica solitudine.