Inemendabile (il volantone)

(in collaborazione con Barbara Monti e Laura Chiosi)

Il disegno di legge noto come, il titolo risulta sempre più inquietante, “buona scuola” è stato scaricato al Senato. Cosa è cambiato rispetto alla bozza che è entrata alla Camera? Poco. E le solite strombazzanti dichiarazioni sui miglioramenti da parte degli spacciatori di questa riforma? Propaganda. Il disegno di legge era inemendabile e resta tale. Il progetto che rappresenta non può essere neutralizzato con nessuna modifica importante. Tanto meno con giochi di parole. Tanto meno con giochi di parole che hanno per destinatari docenti e studenti che spendono, i primi a tempo indeterminato, la parte più importante della loro vita dentro la scuola.

Il legislatore ci teneva a precisare che i docenti neoassunti, specialmente quelli che non possono ambire a entrare in una specie di organico di diritto (tuttora indefinito), dovranno saper fare un po’ di tutto per rimanere a galla: “I docenti dell’organico dell’autonomia concorrono alla realizzazione del piano triennale dell’offerta formativa con attività di insegnamento, di potenziamento, di sostegno, di organizzazione, di progettazione e di coordinamento”.

Il legislatore ha inserito ovunque, in maniera quasi ossessiva, la formula “senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica”. Ci tiene a chiarire che sulla scuola non si investe, non si corre il pericolo di tornare indietro e correggere qualche errore che pure, generosamente, l’opuscolo settembrino imputava ai tagli operati dalle passate riforme.  E intanto tranquillizza le scuole paritarie sul fatto che “senza oneri per lo stato” era da intendersi in modo astratto.

Il legislatore, credendo di accontentare le migliaia di persone che il 5 maggio sono scese in piazza a protestare in difesa della scuola pubblica, della democrazia e di quant’altro, ha concesso ai neoassunti l’opportunità di candidarsi per gli incarichi: ” Per la copertura dei posti dell’istituzione scolastica, il dirigente scolastico propone gli incarichi ai docenti di ruolo assegnati all’ambito territoriale di riferimento, anche tenendo conto delle candidature presentate dai docenti medesimi” (art. 9, comma 2). La domanda è: con quali modalità i candidati presenteranno le proprie candidature. Il comma successivo chiarisce, in parte: “Sono valorizzati il curriculum, le esperienze e le competenze professionali e possono essere svolti colloqui”. Possono, e non possono. Arbitrio. I colloqui sono per i candidati senza referenze, i cosiddetti sconosciuti da cui si vuole salvare gli studenti di cui parlava l’opuscolo settembrino?

Finalmente una buona notizia, good news: i dirigenti saranno valutati in base ai risultati raggiunti in un triennio. Non è vero che la “Buona Scuola” concede i superpoteri ai dirigenti, continua a martellare la fanfara del governo, al contrario ne “definisce in maniera chiara le responsabilità”. Insomma onori e oneri. Se non sanno gestire la scuola saranno allontanati. Non succede in nessun ramo della pubblica amministrazione e lo stesso concetto di risultato a cui è ancorata nel disegno di legge la valutazione dei dirigenti, riferito alla scuola pubblica, è piuttosto friabile e in ogni caso non definito. Inezie. Comunque questo punto non c’era prima del passaggio alla Camera. Ma, nella migliore ipotesi, come si coniuga l’arbitrio del Dirigente con l’art. 97 della Costituzione che tutela la trasparenza e il buon andamento della pubblica amministrazione?

Nell’art. 11 sul periodo di prova il legislatore ha voluto inserire dopo la porzione di testo “il dirigente decide”, la formula magica “sentito il comitato di valutazione”. La ridondante, ma insufficiente, retorica dell’ascolto non basta a fugare i cattivi pensieri. Il comitato di valutazione, formato da 2 docenti, un genitore e uno studente, dovrebbe esprimersi sui risultati dell’insegnante in prova (non ancora effettivamente assunto, questo il legislatore ci tiene a puntualizzarlo, nonostante abbia un titolo valido per aver superato un concorso pubblico), con criteri che saranno decisi caso per caso, cioè scuola per scuola, secondo la prospettiva della valutazione fai-da-te. E sempre “senza oneri per lo Stato” lo stesso comitato suggerirà al dirigente i docenti da premiare. L’idea di fondo è quella di attivare, in luogo della mobilità su domanda, una mobilità virtuosa, dove ciascuno cerca una sponda amica: i principi su cui si basa la valutazione dei docenti, infatti, sono decisi dal comitato stesso a livello di istituzione scolastica. Logico che siano differenti tra il liceo blasonato del centro e la scuola media del villaggio di quattro anime, anche in relazione al peso degli sgravi fiscali. Ma questo si sapeva già.

Quello che continua a rimanere sfuggente è la definizione dell’organico di diritto e la consistenza degli ambiti territoriali. Il comma 12 dell’art. 8 garantisce che i docenti già di ruolo (che non abbiano fatto domanda o non siano finiti soprannumerari) conservano la cattedra per il prossimo anno scolastico. Dal 2016-2017 continuano a conservarlo, anzi rimangono immobilizzati, in quanto “la mobilità territoriale e professionale del personale docente opera tra gli ambiti territoriali”.

Il calderone degli albi territoriale ribollirà di docenti senza più il diritto alla titolarità, come se le cattedre fossero un usufrutto di beni di consumo appartenenti ad un unico monopolio, quello dello Stato neo-liberista. A cuocere in questo brodo (primordiale?) non saranno solo i nuovi assunti, ma anche i docenti di ruolo che chiederanno la mobilità per la quale (è bene approfittarne!) la Camera approva un emendamento che avvia un piano straordinario, rivolto unicamente a quei docenti già in ruolo dall’a.s. 2015/16. Il luogo in cui prendere servizio non sarà una scelta del docente, ma sarà frutto di una partita a scacchi tra iniziative scolastiche del DS ed eventuali gradite competenze del “dipendente”.

A partire dall’a.s.2016/17 l'”organico dell’autonomia” (che non dovrà presentare modifiche rispetto alla dotazione organica assegnata) sarà determinato, in questa nuova veste legislativa, su base regionale, salvo un anno, il prossimo, in cui sarà su base provinciale. Verranno sostenute, senza ulteriori oneri per la finanza pubblica, le creazioni di reti scolastiche entro il 30/6/2016.

Quali sono, secondo il legislatore, i criteri fondanti di tali ambiti territoriali? In ordine, nel testo, sono elencati il numero di alunni, la prossimità delle scuole, le caratteristiche del territorio o la presenza di esperienze già in atto. Naturalmente, senza ulteriori oneri per la finanza pubblica, senza nessun tipo di investimento. Tutto questo, teniamone ben conto, solo per tre anni scolastici, terminati i quali, per il docente si rimetterà di nuovo in gioco tutto, come in un interminabile contratto precario a tempo indeterminato, per una continuità didattica all’insegna della flessibilità.

Senza contare il danno che deriva all’utenza da scelte arbitrarie da parte di dirigenti che non sono formati per individuare i docenti. A cui si aggiunge l’evidente impoverimento derivante dalla possibilità di proporre incarichi a docenti non in possesso dell’abilitazione, come prescrive il comma 2 dell’art. 9: “Il dirigente scolastico può utilizzare i docenti in classi di concorso diverse da quelle per le quali sono abilitati, purché posseggano titoli di studio validi per l’insegnamento della disciplina e percorsi formativi e competenze professionali coerenti con gli insegnamenti da impartire”. 

E qual è la magia che permette al dirigente di pescare nell’organico dell’autonomia per ridurre il numero di alunni per classe come dispone il comma 7 dell’art. 9 (“Il dirigente scolastico, nell’ambito dell’organico dell’autonomia assegnato e delle risorse, anche logistiche, disponibili, riduce il numero di alunni e di studenti per classe”)?

La norma (odiosa) sul divieto di assumere insegnanti con più di tre anni di servizio (36 mesi, anche non continuativi) è ancora saldamente al suo posto, nonostante qualcuno tra gli spacciatori della “Buona Scuola” avesse garantito, in tempi non sospetti, che l’art. 14 (già art. 12) sarebbe stato rivisto. Questo c’è scritto nella relazione delle rsu del mio liceo riguardo a un incontro dei sindacati con esponenti del Pd tenutosi dalle parti di via Nazionale verso la fine di marzo.

E sono ancora al loro posto lo school bonus, la detraibilità delle spese sostenute per la frequenza scolastica (è sparito il 5 per mille grazie a un emendamento del m5s, ma è un altro rubinetto chiuso, nonostante l’iniqua sperequazione che sarebbe derivata da questa norma), l’abrogazione di ogni norma contrattuale in contraddizione con il presente disegno di legge (il contratto, praticamente), le deleghe al governo “ad adottare, entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi, al fine di provvedere al riordino, alla semplificazione e alla codificazione delle disposizioni legislative in materia di istruzione” sono diminuite ma sono talmente generiche che dentro ci può entrare di tutto, dalla riforma dei cicli (un anno in meno di scuola), all’aumento di orario a parità di stipendio, alla razionalizzazione dei percorsi formativi in senso aziendalistico. Insomma, il legislatore ha lavorato sui cavilli ma l’impalcatura è sempre perfettamente in piedi. E chi si illude che al Senato possano intervenire delle modifiche sostanziali non tiene conto che in questa riforma tout se tient: l’assunzione di nuovi schiavi e la libertà del dirigente, l’autonomia selvaggia e il ridimensionamento del ruolo pubblico della scuola.

L’indebolimento degli organi collegiali  è il frutto di una visione verticistica della scuola e della società che questa “buona scuola” vorrebbe formare.  Lo scontro tra docenti e legislatore si sta profilando su un terreno più ampio, che coinvolge i valori fondamentali della nostra Costituzione: dal diritto al lavoro, al diritto all’istruzione, a quello della libertà d’insegnamento. Questo disegno di legge non è un puro e semplice taglio ai fondi destinati alla scuola, come tante riforme precedenti: è il tentativo di delegittimare l’istituzione scolastica come sede del pensiero critico libero e indipendente per sottometterla a poteri economici e finanziari che vorrebbero rimanere nell’ombra, come ormai si sono palesati nel documento dell’associazione Trellle.

Cerchiamo ogni volta di rimanere in piedi e di pensare a cosa fare. Mentre ci crolla addosso tutto quello che abbiamo studiato e tutto quello per cui abbiamo studiato.

(23/5/2015)

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