FEDERICO DE ROBERTO La ginostra

da «La posta»

«Boschi di castagni, di?…»
«Di cerzi, signor tenenti, ca sono l’árboro ca fádi quello picciolo frutto, daccossì…». E postosi a sedere, distese le mani dalle dita nocchiute e circoscrisse con l’indice sinistro l’unghia quadrata del pollice destro.
«Buono da mangiare?».
«I cristiani, nonsignore. Lo mangiano, con gentilizza parlando, li maiali».
«Ah! le querce, allora?».
«Sissignore: li cerzi».
«E poi, come hai detto?».
«I fai, sissignore: l’árboro grandi, coi fogli piccioli piccioli, lucenti…».
«I faggi?» disse Malvini, procedendo per via d’intuizione.
«I fai, sissignore. E poi macari la ginostra».
«La ginestra».
«La ginostra, sissignore.. Il padri si compra il taglio di questi pianti per fari legna e carvone».
«Legna e carbone con la ginestra? Che diavolo dici!».
«Sissignore!» affermò il soldato, molto stupito e quasi offeso dal dubbio
«Ma se. la ginestra è un giunco appena alto cosi?».
«Nonsignore! Lei non ha stato nell’Etna, allura!».
«No, caro; e neanche tu, dentro, credo!».
L’ignorante non capì l’ironia della correzione.
«Nei voschi di la muntagna», spiego, «c’è quella ca dici lei, picciola dacossì, ca si chiama iuncio, com’ha ditto lei»
«Con i fiorellini gialli, che mandano un così dolce profumo?».
«Sissignore!».
E Malvini recitò sottovoce i versi del Leopardi:

Qui su l’arida schiena
del formidabil monte
sterminator Vesevo,
la qual null’altro allegra arbor né fiore,
tuoi cespi solitari intorno spargi,
odorata ginestra.

mentre Valastro continuava per conto suo la spiegazione:
«Ma la ginostra di la muntagna cresci più maggiori, e si fádi quanto un piedi d’olivo, e forma una fiora puranchi giàlina, ma più picciola di quella di lo iuncio, benchì di lo stisso odori. Tempo di maggio è tempo di lo suo fioriti, e lo rosignolo, la notti, ci canta tutta notti…».