PIERRE VIDAL-NAQUET Un dialogo fra due uomini presuppone un comune rispetto della verità

Introduzione a «Gli assassini della memoria»

Questo libretto è nato da una constatazione: da circa due anni l’impresa «revisionista» – intendo quella che nega le camere a gas hitleriane e lo sterminio dei malati di mente, degli ebrei e degli zingari, e di appartenenti a popoli considerati radicalmente inferiori, in particolare gli slavi – ha assunto un’ampiezza inquietante. Una setta, minuscola ma tenace, consacra tutti i suoi sforzi e usa ogni mezzo (volantini, storielle, fumetti, studi sedicenti scientifici e critici, riviste specializzate) al fine di distruggere, non la verità, che è indistruttibile, ma la presa di coscienza della verità. Questa setta, a dire il vero, non si interessa né dei malati di mente né degli zingari, e meno ancora dei prigionieri di guerra sovietici: si interessa soltanto degli ebrei. Perché questa scelta? Gli studi che seguono cercheranno di spiegarlo.

I cinque testi qui riuniti sono stati scritti fra il giugno 1980 e il giugno 1987. I primi quattro sono già stati pubblicati, qualcuno a più riprese, il quinto, «Gli assassini della memoria», che dà il titolo al libro, è inedito. Perché questo titolo, per il testo in questione e per il libro? Sono uno storico anch’io, e so bene che memoria e storia non sono la stessa cosa: non perché la seconda succeda alla prima per non si sa quale automatismo, ma perché il modo di selezione della storia funziona diversamente dal modo di selezione della memoria e dell’oblio. Fra storia e memoria ci può essere tensione, e addirittura opposizione. Ma una storia del crimine nazista che non integrasse la, o piuttosto le memorie, che non rendesse conto delle trasformazioni della memoria, sarebbe una storia ben misera. Gli assassini della memoria hanno scelto bene il loro obiettivo: vogliono colpire una comunità nelle mille fibre ancora dolenti che la legano al suo passato; lanciano contro di essa un’accusa globale di mendacio e di frode. Di questa comunità io faccio parte; il che non implica affatto una mia solidarietà con tutto ciò che proclamano o fanno i suoi rappresentanti, o coloro che si dicono tali. Ma a questa accusa globale non intendo rispondere mettendomi sul piano dell’affettività. Qui non si tratta di sentimenti ma di verità. Questa parola, già grave, tende oggi a dissolversi; e ciò appartiene alle imposture del nostro secolo, che in materia è ricchissimo. Ho parlato di rispondere a un’accusa. Sia detto una volta per tutte che io non rispondo agli accusatori, con i quali non intendo dialogare, su nessun piano. Un dialogo fra due uomini, sia pure avversari, presuppone un terreno comune, nella fattispecie un comune rispetto della verità. Ma con i «revisionisti» questo terreno non esiste. Che dialogo ci potrebbe essere fra un astrofisico e un «ricercatore» affermante che la luna è fatta di formaggio gorgonzola? È questo il livello a cui si situano i personaggi in questione.

Naturalmente, come non esiste una verità assoluta, così non c’è la menzogna assoluta, sebbene i «revisionisti» facciano validi sforzi per giungere a questo ideale. Voglio dire che se capita che i passeggeri di un razzo o di una navetta spaziale lascino sulla luna qualche grammo di gorgonzola, non è il caso di negare questa presenza. Finora, l’apporto dei «revisionisti» alle nostre conoscenze è pari alla correzione di qualche refuso in un lungo testo. Questo non basta a giustificare un dialogo, perché costoro, principalmente, hanno ampliato a dismisura il registro della menzogna.

Mi sono posto, dunque, questa regola: si può e si deve discutere sui «revisionisti»; si possono analizzare i loro testi come si fa l’anatomia di un falso; si può e si deve analizzare il loro posto specifico nella configurazione delle ideologie, chiedersi il come e il perché della loro apparizione; non si discute con i «revisionisti». M’importa poco che i «revisionisti» siano della varietà neonazista o della varietà d’ultrasinistra, che appartengano sul piano psicologico alla varietà perfida, alla varietà perversa, alla varietà paranoica o semplicemente alla varietà imbecille: a loro non ho nulla da rispondere, e non risponderò nulla. La coerenza intellettuale ha le sue esigenze.