L’hascisc non rivela all’individuo nient’altro che l’individuo stesso. È vero che questo individuo viene, per così dire, elevato a una potenza cubica e spinto all’estremo; e, poiché è ugualmente certo che il ricordo delle impressioni sopravviva all’orgia, la speranza di questi utilitaristi non pare, a prima vista, del tutto priva di ragione. Ma li pregherei di osservare che i pensieri da cui contano di trarre un vantaggio così grande non sono belli come sembrano nel loro travestimento momentaneo, coperti di orpelli magici. Appartengono alla terra più che al cielo, e devono gran parte della loro bellezza all’agitazione nervosa, all’avidità con cui lo spirito si getta su di essi. Inoltre, questa speranza è un circolo vizioso: ammettiamo per un istante che l’hascisc dia, o almeno accresca, il genio; ma essi dimenticano che è nella natura dell’hascisc indebolire la volontà e che pertanto esso concede da una parte ciò che toglie dall’altra: in altre parole, dà immaginazione senza la facoltà di fine profitto. Infine, pur supponendo un uomo abbastanza accorto e vigoroso per sottrarsi a questa alternativa, bisogna pensare a un altro pericolo, fatale, terribile, che è quello di tutte le assuefazioni. Tutte si trasformano rapidamente in necessità. Chi avrà fatto ricorso a un veleno per pensare, ben presto non potrà più pensare senza veleno. Immaginate la sorte spaventosa di un uomo la cui immaginazione paralizzata non sa più funzionare senza l’aiuto dell’hascisc o dell’oppio?
Charles Baudelaire, I Paradisi artificiali