LUCA MALGIOGLIO L’insegnamento, i burocrati, il potere

La nostra scuola, 15 novembre 2024

Ci sono alcuni dirigenti scolastici in carriera che chiedono che gli insegnanti facciano un passo indietro, insegnino il meno possibile, si rendano sempre meno necessari per gli studenti (cosa che ha un senso, in sé, ma che richiede tutto il suo tempo), diventino dei “facilitatori”, lascino precocemente gli studenti agli “ambienti di apprendimento innovativi”.

Poi scopri dai racconti di qualche collega che quegli stessi dirigenti sono l’invasività e il protagonismo fatti persona, che sono fanaticamente convinti di incarnare l’istanza dell’ “innovazione” (cioè il ricco mercato della “formazione” e degli “ambienti” di apprendimento”, dove si vende il nulla), che a loro volta non hanno nessuna intenzione di farsi da parte e di lasciar lavorare in pace degli adulti – cioè gli insegnanti – che in moltissimi casi non hanno alcun bisogno di loro per portare avanti il proprio lavoro. Anzi, questa loro invasività è spesso dannosa e controproducente; e quando parlano di “centralità dello studente” intendono in realtà “centralità del dirigente”.

Insomma, un altro bel paradosso della scuola svuotata e burocratizzata: chi vuole piegare tutti al proprio volere ed entra abusivamente in campi non suoi teorizza poi sugli insegnanti come persone assetate di potere, accusate di non volersi fare da parte esattamente quando fanno il loro lavoro, cioè insegnare, aprire orizzonti conoscitivi nuovi ed entrare in una relazione profonda con i propri studenti.

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A chi non lavora a scuola e non conosce i bambini e gli adolescenti, bisognerebbe dare una notizia: gli studenti si lasciano coinvolgere, si impegnano e studiano non tanto per senso del dovere o per senso di responsabilità, non certo grazie a metodologie astratte e ricette mirabolanti, “ambienti di apprendimento” e strumenti più o meno “innovativi” (che servono soprattutto a chi li vende), ma perché nutrono affetto e stima nei confronti dell’insegnante e perché si fidano delle sue parole.

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Probabilmente molti burocrati non si rendono conto del fatto che il cuore del lavoro degli insegnanti è l’insegnamento, un lavoro che per essere portato avanti adeguatamente richiede enormi quantità di tempo, di attenzione e di energie; certificare, relazionare, programmare, verbalizzare dovrebbero essere invece attività a margine dell’insegnamento, limitate allo stretto necessario come cornice di chiarificazione, per non togliere spazio al lavoro sui contenuti disciplinari e alla relazione umana con le classi.

Alla scuola infatti, soprattutto oggi, occorrono fondamentalmente due cose: una grandissima attenzione verso le persone in crescita, con tutta la loro preziosa delicatezza, ed energie investite appieno nell’insegnamento dei contenuti disciplinari. Tutto il resto è accessorio.

Ora, non tutti i burocrati sono dei nemici della scuola, non tutti (parecchi sì) usano la burocrazia per smantellarla dall’interno, come arma di potere, come un apparato che serve a trasformare gli insegnanti in passivi esecutori di interessi extrascolastici, come quelli legati al ricco banchetto del PNRR: ci sono anche persone in buona fede che, non svolgendolo, non si rendono conto di quanto il lavoro dell’insegnante sia impegnativo e di come ogni incombenza burocratica in eccesso distolga chi insegna dai suoi compiti principali, a tutto danno degli studenti. Forse bisognerebbe cominciare a spiegarlo chiarmente e con pazienza, invece di eseguire immediatamente tutto quello che ci viene chiesto di fare, per una pace giusta e necessaria – al netto dei malintenzionati – tra insegnanti e burocrazia.