WU MING 1 Perché dobbiamo prendere sul serio le fantasie di complotto sul clima. Seconda parte

[Internazionale, 21 dicembre 2023]

Seconda puntata di un’inchiesta in due parti. La prima si può leggere qui.

Guarda le scie bianche degli aerei. Guarda quante sono. Sempre più spesso si affiancano e si incrociano, formando una griglia vaporosa che copre gran parte del cielo, quasi da un orizzonte all’altro. Pensaci: ne hai sempre viste così tante?

Quest’esercizio mentale potrebbe essere utile, se si comprendesse che le scie sono un simbolo. Secondo il dizionario De Mauro un simbolo “evoca o rappresenta, per convenzione o per naturale associazione di idee, un concetto astratto, una condizione, una situazione, una realtà più vasta”.

Le scie bianche sono nuvole. Si formano per la condensazione del vapore acqueo presente nei gas di scarico degli aerei. Sono aumentate di numero perché negli ultimi trent’anni, con il successo dei voli a basso costo, il traffico aereo è quadruplicato. Con esso sono aumentate le emissioni di gas serra e sostanze inquinanti e le conseguenze sul territorio: più traffico aereo significa costruzione di nuovi aeroporti, ingrandimento di quelli esistenti, creazione di poli logistici, operazioni immobiliari spinte dalla bolla turistica.

C’è stata una pausa nel 2020, quando dopo i provvedimenti per contrastare la pandemia di covid-19 i voli commerciali internazionali sono diminuiti del 75,6 per cento, ma il traffico è già tornato ai livelli del 2019. In Italia li ha addirittura superati.

Il fitto incrociarsi delle scie è un’immagine forte. Potrebbe tornare utile, se la usassimo come simbolo. Ma non si può, perché se indichi le scie passi per credulone o addirittura per folle, sei colpevole per associazione, sei “come i complottisti”. Cioè coloro che da anni additano il cielo, lo fotografano, lo filmano, denunciano a gran voce l’aumento delle strisce bianche. Per queste persone le scie non segnalano un problema: sono loro stesse il problema. A volte un simbolo rimpiazza la realtà più vasta che dovrebbe evocare. In altre parole, un sintomo è scambiato per il male. Quando succede, è inevitabile sbagliare diagnosi.

Secondo le fantasie di complotto sulle cosiddette scie chimiche, ogni giorno migliaia di velivoli, seguendo le linee di una congiura planetaria, spargono nell’atmosfera miscele di sostanze tossiche, metalli pesanti, solfati e chissà cos’altro. Il fine cambia a seconda delle versioni della storia: condurre esperimenti sulla popolazione, tenerla costantemente ammalata e debole, creare sopra le nostre teste una “fascia chimica psicoattiva” grazie a cui controllare le nostre menti, eccetera. Negli ultimi anni, dalle fantasie sulle scie chimiche sono nate quelle sulla guerra climatica.

Le fantasie di complotto soffrono di una forma di asimbolia, l’incapacità di capire i valori simbolici o i sensi figurati di discorsi, azioni, comportamenti. Quando diciamo che i governi e i padroni ci “succhiano il sangue” stiamo usando una metafora. Ma secondo i seguaci della fantasia di complotto chiamata QAnon, i potenti bevono sangue veramente.

Nel singolo individuo l’asimbolia ha spesso cause neurologiche. Poiché è impossibile che ogni componente delle comunità nate intorno a fantasie di complotto abbia problemi neurologici, dovremo parlare di una forma culturale di asimbolia, creata dagli scambi di messaggi e dall’imitazione reciproca, in contesti fortemente influenzati da determinati bias, pregiudizi, ed errori di ragionamento.

Il punto cieco delle fantasie di complotto

Le fantasie di complotto sulle scie chimiche esemplificano anche uno dei principali paradossi della cultura cospirazionista: c’è un piano segreto, segretissimo, ma i suoi artefici lasciano che sia esposto nei dettagli e denunciato in tantissimi libri pubblicati in molte lingue, innumerevoli articoli, migliaia di video visti da milioni di persone. Libri, articoli e video disponibili sulle piattaforme di proprietà degli uomini più ricchi e influenti del mondo: Sergey Brin e Larry Page, Mark Zuckerberg, Jeff Bezos, Elon Musk.

A proposito di loro Rebecca Solnit ha scritto che i miliardari “sono una minaccia per tutti: la loro mole politica distorce la nostra vita pubblica”, perché “funzionano come poteri non eletti, una sorta di aristocrazia globale autonoma che tenta di governare su tutti. Secondo alcuni le aziende tecnologiche che hanno generato tanti miliardari moderni agiscono con metodi più simili al feudalesimo che al capitalismo, e di certo molti miliardari operano come i signori del mondo, mentre si battono per difendere la disuguaglianza economica che ha reso loro così ricchi e tanti altri così poveri. Usano il loro potere in modi arbitrari, irresponsabili e spesso devastanti per l’ambiente”.

È un vero e proprio punto cieco della fantasia di complotto. I magnati della Silicon valley esercitano sulla nostra società e sulla nostra cultura una delle più estese e arroganti influenze mai viste. Se ci sono persone di cui, con un’iperbole, possiamo dire che “controllano le menti”, sono loro. Se c’è gente che cospira – letteralmente: respira insieme, negli stessi ambienti, in luoghi inaccessibili ai comuni cittadini – è proprio quella. Eppure nessuno li indica come complici del piano delle scie chimiche né, in generale, di alcun altro complotto su scala mondiale. Come mai?

C’è una possibile spiegazione: se Amazon, Facebook, Instagram, X, YouTube e Whatsapp fossero indicati come parte della cospirazione, nella mente di chi la denuncia su quelle piattaforme si produrrebbe una dissonanza cognitiva: percepirebbe il proprio star lì come incoerente, inconciliabile con quel che dice o scrive. Con fatica cognitiva dovrebbe giustificare la contraddizione in qualche modo, oppure rimuoverla. Tutto ciò sarebbe causa di stress. Meglio rimuovere a monte, evitando di pensarci e descrivendo lo scenario più implausibile: un complotto planetario in cui i padroni dei più potenti mezzi di comunicazione del pianeta non hanno alcun ruolo.

Succede qualcosa di simile nella narrazione di QAnon, dove si dice che la Cabal – la setta di satanisti pedofili di cui farebbero parte politici e star di Hollywood – controlla gli Stati Uniti… fatta eccezione per le forze armate, che sono rimaste “sane”. Come sia possibile controllare un paese senza controllarne le forze armate – per giunta gli Stati Uniti, che hanno le spese militari più alte del pianeta e un complesso militare-industriale il cui crescente peso politico fu denunciato già dal presidente Eisenhower – è una questione che i seguaci di QAnon non si pongono. Non possono farlo.

Le peggiori narrazioni

Prima di proseguire è necessario chiarire un punto. Nonostante quanto scritto finora, le fantasie di complotto sul clima non sono le narrazioni più dannose. Neanche il negazionismo conclamato – in Italia espresso da alcuni politici e personaggi da cronaca di costume – è la narrazione più dannosa.

Le peggiori narrazioni sono quelle che fanno greenwashing e spoliticizzano i temi climatici ed ecologici. A promuoverle è un capitalismo che coglie l’opportunità della crisi climatica – crisi causata dai costi esterni della produzione: emissioni, scarti, rifiuti – per continuare a fare profitti, generando nuovi costi esterni ancora poco visibili, come l’impatto ambientale dell’estrazione di litio per le auto elettriche, e pericoli futuri, come gli effetti collaterali delle pseudosoluzioni geoingegneristiche.

Il soluzionismo tecnologico riduce il riscaldamento globale a una questione di momentanea inefficienza tecnica che sarà superata con l’innovazione. Con il boom delle cosiddette intelligenze artificiali generative, questa narrazione è destinata ad avere sempre più presa, ma come scrive Joy Buolamwini, autrice del libro Unmasking Ai: “L’intelligenza artificiale non risolverà il problema del cambiamento climatico, perché le scelte politiche ed economiche sullo sfruttamento delle risorse del pianeta non sono questioni di carattere tecnico. Per quanto possa tentarci, non possiamo usare l’intelligenza artificiale per schivare il duro lavoro di organizzare la società, in modo che il tuo luogo di nascita, le risorse della tua comunità e le etichette che ti ritrovi addosso non determinino il tuo destino. Non possiamo usare l’intelligenza artificiale per evitare discussioni su chi ha potere e chi ne è privo. Dare in outsourcing morale alle macchine le decisioni difficili non risolverà i dilemmi sociali fondamentali”.

Il riduzionismo carbonico consiste nel parlare solo delle emissioni di CO2, rimuovendo dal quadro ogni altro processo: la distruzione di biodiversità, la cementificazione, la manomissione del territorio. In questo modo si può decidere di abbattere decine di alberi e consumare suolo per costruire edifici di classe energetica A4, e dire di aver fatto una scelta green.

L’individualismo verde è la narrazione più consolidata. Sostiene che per risolvere i problemi climatici e ambientali si debba puntare sullo stile di vita e le scelte coscienziose del singolo consumatore. In questo modo le responsabilità sono scaricate da monte a valle: dalle decisioni politiche in tema di produzione energetica e industriale alle piccole, sproporzionatamente meno influenti, scelte che chiunque di noi può fare nel quotidiano.

Un esempio eclatante lo fornisce la produzione di plastica. In un’inchiesta pubblicata dal Guardian qualche anno fa Stephen Buranyi ha spiegato come addossare il problema al singolo consumatore sia stata una strategia promossa direttamente dall’industria dei polimeri, con grandi investimenti e lavoro di lobby, per evitare regolamentazioni del settore. Solo da poco tempo ci si è resi conto di quanto ingannevole sia l’idea che basti fare la raccolta differenziata e usare plastica riciclata o compostabile. Come ha titolato qualche mese fa l’Atlantic, “la plastica compostabile è spazzatura”.

Un altro esempio riguarda la già citata auto elettrica. Nell’intersezione tra individualismo verde e soluzionismo tecnologico troviamo l’idea che basti cambiare il parco auto e voilà, potremo continuare come prima, incoraggiando gli spostamenti privati su gomma, senza investire su un trasporto pubblico, capillare e universale. Come per la plastica, i costi esterni di quest’illusione diventeranno visibili con il tempo.

L’eccezionalismo deresponsabilizzante è la narrazione più recente, tanto che molte persone non sanno ancora riconoscerla. Consiste nell’usare gli eventi estremi come scusa per non cambiare politiche. In Italia si è affermata dopo le alluvioni in Emilia-Romagna del maggio 2023. Il 17 maggio, durante un collegamento con La7, il presidente della regione Stefano Bonaccini ha dichiarato: “Quando in trentasei ore cade l’acqua di sei mesi, e cade dove quindici giorni fa era caduta una pioggia record che aveva fatto cadere quello che cade in quattro mesi, non c’è territorio che possa tenere, anche perché la pioggia cade su un terreno che non assorbe più nulla, va tutta nei fiumi e non può scaricare in mare perché è ingrossato dalle mareggiate: su questo non ci si può far nulla”. Altri amministratori hanno rilasciato numerose dichiarazioni su questa falsariga.

L’enfasi sulla straordinarietà dell’evento – che straordinario sarà sempre meno, perché il colpo di frusta climatico è parte del nuovo clima – rimuove il fatto che un territorio può reggere l’urto di un nubifragio meglio o peggio, in molti o pochi punti, dando a chi ci vive più o meno tempo di organizzarsi. Il territorio emiliano-romagnolo è destinato a cedere sempre più spesso, perché compromesso da scelte che ne hanno peggiorato l’assetto idrogeologico, e attraversato da fiumi costretti in alvei artificializzati da cui alla prima occasione fuoriescono, o che addirittura distruggono con furia. Esondando, non allagano solo campi, come sarebbe successo cinquant’anni fa: travolgono aree urbanizzate, uccidono persone, spargono in giro incalcolabili quantità di rifiuti e sostanze inquinanti. Dire che “non ci si può far nulla” serve a nascondere che, per prevenire il disastro, nulla si è fatto. Intanto si continua a cementificare, ponendo le basi per catastrofi future.

Di fronte a tutto ciò, le fantasie di complotto sulle scie chimiche o sul cloud seeding, la tecnica per aumentare le precipitazioni, sembrano poco più di una curiosità. Invece è indispensabile occuparsene.

L’anticapitalismo e il suo doppio

Le fantasie di complotto intercettano e traducono a modo loro malcontento, frustrazione, rabbia sociale e paura, mettendo in moto le energie e risorse – tempo, attenzione, inventiva – di persone che forse, in altri condizioni, si impegnerebbero in lotte sociali e ambientali. Quelle energie sono deviate e incanalate verso luoghi dove si dissiperanno o, peggio, rafforzeranno ideologie reazionarie. È quel che scrive anche Naomi Klein, in altri termini, nel suo ultimo libro Doppelgänger. A trip into the mirror world, uscito in italiano con il titolo Doppio. Il mio viaggio nel mondo specchio (La nave di Teseo 2023).

A Klein è capitato più volte di essere attaccata o, in altre circostanze, elogiata sui social network per affermazioni e posizioni non sue, con cui era anzi in completo disaccordo. La confondevano con un’altra autrice, Naomi Wolf, la sua doppelgänger. In tedesco significa sosia, ma alla lettera è “doppio andante”. Secondo il dizionario dei fratelli Grimm significa “qualcuno ritenuto in grado di apparire in due luoghi diversi allo stesso tempo”. Qualcuno che appare al posto nostro, dove non siamo.

Già teorica femminista, amica dei Clinton e star dei salotti liberal di Washington, negli ultimi anni Wolf ha subìto una metamorfosi. Oggi collabora con l’agitatore di destra Steve Bannon ed è un’accanita propagatrice di fantasie di complotto, specialmente su scie chimiche, guerra climatica e vaccini. Per esempio, ha più volte fotografato nubi “dagli strani comportamenti”, saltando alla conclusione che erano parte di un piano della Nasa per spargere “alluminio in tutto il globo”, in modo da causare “epidemie di demenza”.

L’iperattivismo di Wolf durante la pandemia di covid-19 ha aumentato la frequenza degli equivoci. Klein non si è limitata a spazientirsi, ma ha deciso di andare a fondo, di capire come mai la confondessero tanto spesso con Other Naomi, Altra Naomi, come la chiama nel libro. Presto si è resa conto che quasi ogni presa di posizione di Wolf sembrava il riflesso deformato di una sua analisi o inchiesta, che si trattasse di shock economy, geoingegneria, misfatti dell’industria farmaceutica o altro. A quel punto ha esteso il raggio dell’inchiesta, scoprendo la vastità di quello che chiama “il mondo nello specchio”.

Al libro di Klein torneremo tra poco. Intanto fissiamo il punto: le comunità che si formano intorno a fantasie di complotto sono i doppelgänger dei movimenti anticapitalisti. Più precisamente, le fantasie di complotto sul clima di seconda generazione sono il doppio dell’attivismo climatico.

È possibile impedire lo sdoppiamento? E come rivolgerci ai nostri doppelgänger?

Il doppio nello specchio sono io

Per prima cosa dobbiamo ricordare che ogni fantasia di complotto si forma attorno a uno o più nuclei di verità, anche se con il tempo quei nuclei sono oscurati, coperti da un gran numero di dettagli inverosimili.

Il termine “verità” può intimorire, gravato com’è da secoli di dibattiti filosofici ed etici. Ma la verità di cui parliamo è relativa, osservata da un preciso punto di vista. I nuclei di verità sono elementi che chi critica il capitalismo può riconoscere come parte della propria esperienza e visione del mondo. Partendo da qui è possibile stabilire un contatto con chi crede a fantasie di complotto e cercare un terreno comune, senza paternalismi o complessi di superiorità, senza il desiderio di blastare tipico dei debunker. Con l’espressione “nuclei di verità” s’intende l’insieme di premesse che accettiamo come plausibili, in base alle quali possiamo relazionarci con chi crede a fantasie di complotto.

Confrontarsi con queste persone non implica dare credito ai propagandisti a tempo pieno di fantasie di complotto, personaggi come Alex Jones o la stessa Wolf negli Stati Uniti, Alain Soral in Francia, Rosario Marcianò, Cesare Sacchetti o Red Ronnie in Italia. Non è con i top influencer, con le star di quel mondo che occorre parlare, ma con le persone arrabbiate e angosciate per lo stato delle cose, spesso umiliate e schiacciate, che sentono sulla pelle quanto la realtà in cui viviamo sia distruttiva e nelle fantasie di complotto cercano spiegazioni. Spesso queste persone le conosciamo bene: sono amiche e amici, parenti, familiari, vecchi compagni di strada. Ecco un’altra ragione per cui è importante occuparsi di questi temi. Ragione che ha a che fare meno con i concetti e più con gli affetti.

A volte i nostri doppelgänger siamo noi. Sei tu, sono io. Chiunque di noi, almeno una volta nella vita, ha creduto a una fantasia di complotto, che riguardasse l’11 settembre o il caso Moro, il black bloc o le tute bianche al G8 di Genova, l’allunaggio o l’omicidio di John F. Kennedy.