BENEDETTO CROCE Parole di un italiano

Da «Soliloquio»

La guerra, che finora, agevolata da talune condizioni internazionali, solo in parte era nostra, ora si fa veramente nostra.
Questo tutti gli Italiani sentono con cuore tumultuante.
Ma io vorrei che un pensiero austero ci riempisse tutti: il pensiero che il nostro fine prossimo ed urgente non deve essere già quello, generico, di vincere, ma l’altro, specifico, di resistere, e combattere. Perché vi sono momenti nei quali vittoria o sconfitta diventa, dinanzi all’onore nazionale e alla dignità di uomini, cosa secondaria.
Una vittoria facile è una sconfitta morale e reale; ma persino una sconfitta, aspramente contesa, è una vittoria altrettanto morale quarto effettiva.
Per questo, a noi non spetta, ora, confortarci in immagini di vittorie, e fantasticare su possibilità, ma solamente, con animo concorde, con animo feroce, come dicevano i Romani, volere la cacciata del nemico dal nostro suolo, e tendere tutte le forze a quest’unico fine.
Tristi dottrine hanno ingannato alcuni del nostro popolo sulla dura realtà della vita e della storia; e non è valso a disingannarli in tempo il chiaro esempio che veniva dai paesi stessi che di tali dottrine erano stati fucina, dove coloro che adornavano di parole l’internazionalismo e il pacifismo, coltivavano nel fatto il più rigido nazionalismo, stringendosi attorno ai troni dei loro sovrani, a danno degli altri popoli.
Ma gli estremi residui di coteste perniciose illusioni, di cotesti pratici tradimenti, vanno rapidamente sparendo, consumati dal fuoco della guerra, che, bruciando il peggio di noi (e tra questo peggio anche gli affetti di parte), ci ridà la pura, la religiosa coscienza di uomini che difendono cose sacre, e che sanno che la potenza del difenderle è tutta in loro stessi, e che dell’uso di questa potenza saranno chiamati a rispondere nel giudizio dei posteri.
Se questo pensiero solamente ci occuperà, guidando e afforzando l’opera nostra, avvenga quel che avvenga, sicuramente vinceremo.

Torino, 3 novembre 1917