«Il Fatto quotidiano», 26 aprile 2023
Il “liceo del made in Italy”, la mistica del “merito”, l’istruzione “professionalizzante” guidata dal “docente orientatore”, l’umiliazione dei ragazzi, la demonizzazione dei licei “inutili”, le circolari antistoriche… Al di là del ministro dell’Istruzione, Giuseppe Valditara, come mai queste retoriche preoccupanti hanno preso così piede?
La risposta sta nel “prima”, nell’esasperazione prodotta da decenni di malgoverno della scuola pubblica: pedagogismi astrusi, burocratizzazione a oltranza, verticismo aziendalistico, omologazione tecnologica coi fichi secchi, proletarizzazione sociale dei docenti, concorrenza al ribasso tra istituti (meno bocciati, più iscritti), scollamento tra roboante retorica e misera realtà (chi ora si scandalizza non fiatò sulla “didattica per competenze” che gli Istituti Tecnici devono “adattare alle esigenze del settore produttivo”, come ingiunge il decreto draghiano Aiuti-Ter). In una parola, generale perdita di senso e di gusto per l’unica cosa che conta – il rapporto educativo, che dovrebbe formare cittadini prima che manodopera –, a tutto vantaggio dei filosofemi, dei narcisismi dei presidi, dei privilegi sindacali, dei consorzi privati di valutazione, della “progettite” acuta, della rendicontazione fine a se stessa.
Un bignami preciso e divertito (non battagliero) di questa deplorevole china è ora fornito da Maurizio Zenga con Mi ha salvato la matita. Appunti e vignette di un sopravvissuto alle riforme della scuola (Rogiosi), un volumetto che condensa in testi chiari e succinti e in molte illustrazioni una vita trascorsa dietro la cattedra come insegnante di Educazione artistica alle medie. Senza supponenza né ideologia l’autore, che è anche un grafico professionista e ha collaborato con riviste e tv, tratta con leggerezza un tema molto serio: questo è un merito anche quando – come accade – le freddure nelle sue peraltro eleganti vignette risultano troppo facili o poco convincenti.
Nelle sue tranches de vie scolastiche, Zenga prova anzitutto a descrivere con parole e figure il venir meno di quei legami “familiari” che soli consentono, anche nelle avversità o nelle discrasie, di far funzionare tutto il processo educativo: ciò vale tra i docenti – sempre più l’un contro l’altro armati, per ragioni di punteggio, di prestigio interno, di incarichi remunerati –, e poi tra loro e il Dirigente, autocratico e altero, “venditore di pentole” (alias “prodotti formativi”), pronto a dar sempre ragione ai genitori degli allievi in nome del “buon nome della scuola”, dell’“interesse del ragazzo”, e via dicendo.
Realistica e visionaria, la matita di Zenga coglie dettagli importanti e quotidiani, dalla trasformazione estetica degli adolescenti alla mutazione dei libri di testo (la cui “composizione caotica”, inseguendo il modello digitale anziché contrastarlo, nuoce alla concentrazione del discente); dal lento ma inesorabile procedere di un voto “5” verso il “9” nel corso di un consiglio di Classe diretto dal Preside, all’atteggiamento minaccioso dei nerboruti e opulenti genitori nei confronti degli insegnanti dei figli; dal proliferare di mille pacchi, buste e bustine per lo svolgimento delle prove Invalsi, fino al delirio degli acronimi e alla neolingua delle “Figure Obiettivo” e del “Potenziamento”; dal mish-mash del “colloquio interdisciplinare” durante l’esame di III media all’analfabetismo funzionale di molti allievi, promossi a onta dei loro strafalcioni.
Il rischio di un’operazione come questa è quello di apparire nostalgica; è lo scoglio in cui incappano libri recenti dedicati alla scuola da chi non vi ha insegnato, come quelli – tra loro assai diversi, e non privi di acume – di Ernesto Galli della Loggia e di Gustavo Zagrebelsky. Ma Zenga schiva il pericolo, e il tono da geremiade: la nitida e realistica (ma sconsolante) descrizione della lezione-tipo, o il confronto (anche visivo) con quanto l’autore ha potuto constatare e studiare nelle scuole del Giappone, rende il libro molto concreto e calato nell’oggi e nel domani.
Zenga è andato in pensione alla vigilia del Covid, talché qui non si parla di banchi a rotelle né di mascherine, e si rimane ben al di qua dell’era Valditara. Quest’ultimo promette ora una “semplificazione” e una “sburocratizzazione” della professione docente: se accompagnate da adeguati aumenti salariali, e da ulteriori, massicce assunzioni (magari aiutate dai fondi del Pnrr), queste promesse di un ministro per altri versi imbarazzante potrebbero attecchire in una classe docente sfibrata da anni di riforme sbagliate, di incessanti mortificazioni.