Da «1984»
«La verità è solo quello che il Partito ritiene vero. Non è possibile discernere la realtà se non attraverso gli occhi del Partito. È questo ciò che devi imparare da capo, Winston, e per ottenere un simile scopo è necessario un atto di autoannientamento, uno sforzo della volontà. Per diventare sano di mente devi umiliare te stesso».
Tacque per qualche momento, come per dare a Winston il tempo di afferrare fino in fondo quanto aveva detto.
«Ricordi» riprese a dire «di aver scritto nel tuo diario: “La libertà è la libertà di dire che due più due fa quattro”?».
«Sì» rispose Winston.
O’Brien gli voltò le spalle, quindi sollevò la mano sinistra, tenendo il pollice nascosto e le quattro dita tese.
«Quante sono le dita che tengo alzate, Winston?».
«Quattro».
«E se il Partito dice che le dita non sono quattro ma cinque, quante sono?».
«Quattro».
La parola terminò in un rantolo di dolore. L’ago del quadrante era balzato a cinquantacinque. Ora il corpo di Winston grondava sudore. L’aria gli entrava a forza nei polmoni e ne fuoriusciva sotto forma di lunghi gemiti che non riusciva a trattenere neanche stringendo i denti. O’Brien lo guardava, con le quattro dita ancora tese. Riportò la leva alla posizione di prima. Questa volta il dolore si attenuò solo di poco.
«Quante dita sono, Winston?».
«Quattro».
L’ago salì a sessanta.
«Quante dita sono, Winston?».
«Quattro! Quattro! Che altro posso dire?».
L’ago doveva essere risalito di nuovo, ma lui non lo guardò. Era tutto preso dalla visione delle quattro dita e di quel volto duro e severo. Le dita gli si stagliavano davanti come altrettanti pilastri, enormi, indistinte. Sembravano vibrare, ma non c’era dubbio: erano quattro.
«Quante dita sono, Winston?».
«Quattro! Basta, basta! Ma perché non ti fermi? Sono quattro, quattro!».
«Quante dita sono, Winston?».
«Cinque! Cinque! Cinque!».
«No, Winston, è inutile. Tu stai mentendo, tu credi ancora che siano quattro. Per piacere, quante dita sono?».
«Quattro! Cinque! Tutto quello che vuoi! Ma basta con questa sofferenza!».
All’improvviso si ritrovò seduto, con O’Brien che gli cingeva le spalle con le braccia. Forse aveva perso i sensi per qualche secondo. I legacci che gli avevano stretto il corpo ora erano allentati. Si sentiva gelare, batteva i denti, il corpo scosso da convulsioni irrefrenabili, mentre un fiotto di lacrime gli correva giù per le guance. Per un attimo si afferrò a O’Brien, come un bambino, stranamente confortato da quel braccio grande e grosso che gli cingeva le spalle. Aveva l’impressione che O’Brien lo proteggesse, che il dolore fosse qualcosa che veniva da fuori, da una qualche sorgente esterna, e che O’Brien fosse l’uomo che poteva stornarlo da quella pena.
«Sei lento nell’apprendere, Winston» disse O’Brien con dolcezza.
«Ma come posso fare a meno…» piagnucolò «come posso fare a meno di vedere quello che ho davanti agli occhi? Due più due fa quattro».
«A volte, Winston. A volte fa cinque, a volte tre. A volte fa cinque, quattro e tre contemporaneamente. Devi sforzarti di più. Non è facile diventare sani di mente».