FEDERICA CAPPUCCIO La mitridatizzazione della scuola

Sono un’insegnante di serie B. Scrivo per rabbia, annebbiata dall’invidia sociale verso quelli che ce l’hanno fatta. Gli insegnanti multiuso, che insegnano nelle ore di insegnamento (quanto basta), compilano le carte, partecipano alle riunioni, correggono i compiti, e nondimeno gli avanza tanto di quel tempo e voglia da poter essere anche tutor, orientatori, progettisti, stagisti, animatori digitalizzati.

L’insegnante di serie B, se sa insegnare, se conosce la propria materia, sa solo insegnare, nel senso di trasmettere. L’insegnante multiuso costruisce il design della Buona scuola del pnrr perché sa addestrare, è addestrato, coordina le iniziative, fa management, è management, staff, coach, chef.

Ero alunna di un liceo di Roma quasi dismesso nel maggio 2000. Quando c’è stata la grande manifestazione dei sindacati contro il concorsone di Berlinguer la scuola è rimasta deserta. Berlinguer si è rimangiato il concorsone. Il tentativo di dividere la categoria con un colpo di accetta ha suscitato una rivolta. Da quel momento si è messa in atto una strategia graduale, più subdola, con qualche acuto.

La riforma Moratti prevedeva i tutor, la filosofia di donna Letizia era distinguere chi produce da chi insegna e basta. Usò l’espressione si chiude la porta della classe dietro le spalle. Nelle scuole di specializzazione per l’insegnamento secondario era già stata introdotta l’ossessiva allucinazione di insegnare a insegnare a imparare, a saper fare. In una lezione ho chiesto a un pedagogista: mi scusi, a fare cosa? Il pedagogista mi ha risposto a mettere a frutto ciò che ha imparato. Oggi gli chiederei se è essenziale saper fare un prompt per interrogare l’intelligenza artificiale. I pedagogisti sono sempre al passo con l’innovazione. La Buona scuola, in tutte le sue forme, è stata accompagnata dal suono della fanfara patagogica, con la variante che l’insegnante di serie B è il tapino che conserva i riti vecchi e superati della tradizione: la lezione frontale, i compiti a casa, le verifiche a catena, la valutazione alfanumerica. Una condizione di sottomissione alla conoscenza senza frutti palpabili.

Renzi ci ha provato con la mancetta. Credeva di prendere due piccioni: dava il potere al dirigente di concedere, e al docente di ricevere. Ma il piedistallo era basso, una mancetta oggi a me, domani a te. Ci ha provato anche con la chiamata diretta dei docenti. Dopo pochi anni i prescelti, gli invitati, sarebbero potuti diventare l’elite. Il giochetto era ingegnoso, ma anche astruso: ogni scuola avrebbe potuto contare sui docenti utili al proprio piano per l’offerta formativa, i docenti collaborativi, espellendo i docenti che un’associazione ha definito sfacciatamente docenti contrastivi. Ma verso dove? La divisione era monotematica, esageratamente esplicita e poteva diventare un boomerang: chi salvava il dirigente dalla contestazione dei genitori contro il cugino inetto?

Mi piace anche ricordare che sono stata assunta grazie alla chiamata diretta. Ero l’unica pretendente per un posto di italiano in una scuola molto fuori mano della provincia di Pisa. Sono stata sottoposta dal dirigente a un colloquio di mezz’ora in cui mi ha chiesto se avevo dei master, se ho girato il mondo, come me la cavo con il computer. A un certo punto ho detto che a me piace insegnare. Mi ha risposto che è fuori discussione. Se uno si accontenta della paga di un insegnante deve avere la passione.

Dopo Renzi è stato difficile capire da che parte stava chi stava al timone dell’istruzione. Prima era più facile perché ognuno metteva una nota di colore su scelte politiche, normalmente decise altrove, che invariabilmente comportavano più azienda e tanti tagli, lineari e trasversali. Tutti hanno attuato una strategia di distrazione, favorita a un certo punto dal covid e dai suoi tanti oggetti suggestivi: le mascherine, i banchi monoposto a rotelle, gli orari scaglionati, i richiami dei vaccini.

A scuola mi chiudo la porta della classe dietro le spalle, non faccio nient’altro. Mi sento un’aliena. Nei collegi degli ultimi due anni ho votato distrattamente contro almeno 27 delibere che contenevano la parola pnrr, next generation o missione. Ogni volta si trattava di fondi a favore di qualche forma di innovazione digitale che premiavano sistematicamente una categoria di persone volenterose. Qualcuno potrebbe dire che ogni attività che si fa con questi fondi di per sé è innocua: cosa gli vuoi dire al collega, lo stesso che in classe fa poco o niente, che con una manciata di spiccioli fa un corso per potenziare gli studenti dell’ultimo anno in vista dell’esame. Anche il tutor, che supporta uno studente a infilare nel proprio curriculum (si chiama portfolio, Federica!), l’articolo scritto per il giornalino della parrocchia, è in fondo una figura ridicola. In sintesi il solco che avrebbe scavato il concorsone di Berlinguer è diventato una riga sottile, quasi invisibile, ma questo non diminuisce la discriminazione, la rende accettabile, un fatto naturale, la mitridatizzazione della scuola.