«Le assaggiatrici»
Arrivò la cameriera con una torta di panna e frutta, e Maria si batté il petto. «Sono così golosa, povera me! Mangio dolci tutti i giorni. In compenso non mangio mai carne: questo deporrà a mio favore, no?».
Era un’abitudine insolita, a quell’epoca, non conoscevo nessuno che rinunciasse volontariamente alla carne, a parte il Führer. Non conoscevo nemmeno il Führer, in realtà. Lavoravo per lui e non lo avevo mai incontrato.
Maria travisò di nuovo il mio silenzio: «Rosa, oggi è proprio giù di morale». A nulla servì che negassi. «Bisogna fare qualcosa per rallegrarla».
M’invitò in camera sua, non ci ero mai salita. Da un’enorme vetrata aperta, che occupava quasi un’intera parete, si diffondeva una luce tiepida. Al centro c’era un tavolo circolare di legno scuro, sul quale diversi libri erano impilati disordinatamente. Ovunque, vasi pieni di fiori. In un angolo era incastrato il pianoforte, gli spartiti erano volati sulla panca e sul tappeto. Maria li raccolse e si sedette. «Su, venga».
Restai ferma dietro le sue spalle. Sopra il pianoforte era appeso un ritratto di Hitler.
La postura di tre quarti, lo sguardo frontale. Gi occhi sdegnati, appesantiti dalle borse, le guance flaccide. Indossava un lungo soprabito grigio, aperto abbastanza per sfoggiare le croci di ferro guadagnate nella Grande Guerra. Teneva un braccio piegato, il pugno sul fianco: sembrava una madre che rimbrotta il figlio, altro che un combattente; una moglie che si riposa un attimo, dopo aver strofinato con la liscivia i pavimenti. C’era in lui qualcosa di femminile, tanto che i baffi parevano posticci, incollati per un imminente numero di cabaret: non ci avevo mai fatto caso.
Maria si girò, vide che fissavo il quadro. «Quell’uomo salverà la Germania».
Se l’avesse sentita mio padre.
«Ogni volta che l’ho incontrato, ho avuto l’impressione di parlare con un profeta. Ha occhi magnetici, quasi viola, e quando parla è come se spostasse l’aria. Non ho mai conosciuto una persona più carismatica. Che cosa avevo da condividere con quella donna? Perché mi trovavo nella sua stanza? Perché, da tempo, mi trovavo in posti in cui non volevo stare, e accondiscendevo, e non mi ribellavo, e continuavo a sopravvivere ogni volta che qualcuno mi veniva portato via? La capacità di adattamento è la maggiore risorsa degli esseri umani, ma più mi adattavo e meno mi sentivo umana.
«Non stento a credere che riceva ogni giorno valanghe di lettere dalle sue ammiratrici! A cena con lui ero talmente emozionata che non ho toccato cibo. Così, quando ci siamo salutati, lui mi ha fatto il baciamano e ha detto», cercò di imitarne la voce: «Bambina, mi raccomando mangi di più. Non vede che è troppo magra?».
«Lei non è troppo magra», obiettai, come se fosse quella la questione.
«Lo credo anch’io. Non più di Eva Braun, quantomeno. E sono pure più alta di lei».
Anche Ziegler l’aveva nominata, la fidanzata segreta del Führer. Fu strano pensare a lui davanti alla baronessa. Chissà se si era accorta di qualcosa, se al pensiero di Ziegler la mia faccia si era alterata.
«Ma Hitler mi ha fatto anche molto ridere, sa? A un certo punto tiro fuori uno specchietto dalla borsa, lui se ne accorge e mi dice che da ragazzino aveva uno specchietto identico. Cala il gelo. Mein Führer, che cosa se ne faceva di uno specchietto da donna?, gli chiede Clemens. Che sfacciato! Hitler fa: lo usavo per riflettere la luce del sole e abbagliare l’insegnante. E tutti giù a ridere», Maria rideva anche in quel momento, credeva di contagiarmi, «Un giorno, però, l’insegnante gli dà una nota. Allora, durante l’intervallo, lui e i compagni vanno a sbirciare il registro per leggere che cosa ha scritto. Appena suona la campanella, ritornano ai banchi e si mettono a cantare tutti in coro: “Hitler fa il bulletto giocando con lo specchietto”, Era la nota scritta sul registro… Sembrava una filastrocca in rima! L’insegnante in fondo aveva ragione: Hitler era un bulletto, per certi versi lo è ancora».
«Ed è per questo che dovrebbe salvare la Germania?».
Maria aggrottò la fronte. «Non mi tratti da stupida, Rosa. Non lo consento a nessuno».
«Non volevo mancarle di rispetto», dissi, ed ero sincera. «Abbiamo bisogno di lui, lo sa. Si tratta di scegliere fra Hitler e Stalin, e chiunque sceglierebbe Hitler. Lei no?».