MARTIN VENATOR «Lo studente al centro», «la personalizzazione degli apprendimenti», «l’orientamento» e altre truffe

La nostra scuola, 3 giugno 2025

Di come il potere neoliberista, usando come pretesto la pedagogia — soprattutto quella di matrice progressista — riesca a indebolire il sistema educativo.

Il pretesto: “modernizzare”, “motivare”, “mettere al centro lo studente”.
Il potere neoliberista non attacca frontalmente la scuola democratica e progressista: ne usa il linguaggio, ne deforma i principi, ne travisa i concetti chiave. Lo fa con grande abilità, costruendo un racconto seducente.
Ecco alcuni pretesti pedagogici usati per destrutturare la scuola come istituzione culturale e democratica:

1. “Mettere al centro lo studente” ma in quanto consumatore non soggetto pensante.

Il neoliberismo adotta la retorica dell’alunno “al centro”, ma:
– trasforma lo studente in un cliente da soddisfare, non in un soggetto da formare;
– pretende una scuola “motivante”, “coinvolgente”, “leggera”, in realtà privata di contenuti critici e alleggerita della fatica dello studio;
– svuota la relazione educativa, riducendola a erogazione di servizi personalizzati.

In sostanza:
Pretesto progressista: centralità dello studente.
Uso neoliberista: deregolare i saperi, deresponsabilizzare la scuola, ridurre la conoscenza a prodotto “su misura”.
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2. “Competenze, non nozioni”. Adattabilità invece di conoscenza.

Il paradigma delle competenze nasce anche in ambito pedagogico progressista, ma:
– viene assorbito dal neoliberismo per sostituire i saperi solidi con abilità flessibili e trasferibili, utili al lavoro precario;
– serve a giustificare la fine della centralità delle discipline, considerate “vecchie”;
– legittima un’idea di scuola come palestra di skills, anziché luogo di studio e ricerca.

In sostanza:
Pretesto progressista: superare il nozionismo.
Uso neoliberista: cancellare i saperi strutturati, preparare soggetti “agili”, senza strumenti critici.
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3. “Orientare al futuro” ovvero subordinare al mercato.

L’orientamento nasce come strumento per aiutare i giovani a trovare la propria strada. Ma:
– diventa nel neoliberismo uno strumento di indirizzamento precoce, funzionale alla segmentazione del mercato del lavoro;
– con i PCTO si insegna ad adattarsi a qualsiasi condizione, senza strumenti per cambiarla;
– si propone la scuola come “trampolino” per l’inserimento lavorativo, ma senza potere contrattuale né consapevolezza storica.

In sostanza:
Pretesto progressista: aiutare i giovani a progettarsi.
Uso neoliberista: disciplinare le scelte, anticipare l’integrazione nel ciclo produttivo.
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4. “Apprendimento personalizzato” aka disintegrazione del curricolo comune.

Si invoca una scuola “su misura”, adattabile ai ritmi e agli stili di ogni studente, ma:
– si cancella il valore collettivo del sapere;
– si depotenzia la funzione della scuola come spazio pubblico di confronto, scontro, crescita comune;
– si frammenta la didattica in micro-attività, moduli, progetti esterni, senza coerenza e profondità.

In sostanza:
Pretesto progressista: educazione inclusiva.
Uso neoliberista: destrutturare la scuola come istituzione, atomizzare il sapere.
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5. “Scuola delle emozioni” in arte “anestesia del conflitto”.

La pedagogia emotiva viene rilanciata come chiave per il benessere scolastico, ma:
– si depoliticizza l’insegnamento, trasformandolo in “gestione delle relazioni”;
– si educa all’empatia, ma senza spirito critico e senza lettura del contesto sociale;
– si scoraggia il dissenso, la rabbia, il conflitto — cioè le emozioni necessarie per reagire alle ingiustizie.

In sostanza:
Pretesto progressista: centralità della persona.
Uso neoliberista: rendere docili e autocontrollati gli studenti, disinnescare ogni tensione trasformativa.
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In sintesi: il neoliberismo non distrugge la pedagogia progressista. La ingloba, la svuota, la usa.
Il potere neoliberista:
– parla come un pedagogista progressista, ma agisce come un economista aziendale;
– usa il linguaggio della libertà per rendere più docile la subordinazione;
– prende concetti come “motivazione”, “empatia”, “centralità dell’alunno”, “competenze” e li trasforma in strumenti di controllo morbido.
Così facendo, indebolisce la scuola pubblica, la riduce a servizio tecnico, addestra individui flessibili e silenziosi, e neutralizza la funzione politica dell’educazione.