Da «Ricordi d’infanzia»
Fu a S. Margherita che alla non tenera età di otto anni mi venne insegnato a leggere. Prima mi si facevano delle letture; a giorni alternati mi si leggeva la «Storia Sacra», una specie di sunto della Bibbia e del Vangelo i giorni di Martedì, Giovedì e Sabato; e i Lunedì Mercoledì e Venerdì… la Mitologia classica. In modo che ho acquisito una solida conoscenza di ambedue queste discipline: sono ancora in grado di dire quanti e quali fossero i fratelli di Giuseppe e me la cavo fra le complicate beghe familiari degli Atridi. Prima ancora di saper leggere mia Nonna era anche costretta dalla sua stessa bontà a leggermi durante un’ora «La Regina dei Caraibi» di Salgari e la vedo ancora mentre si sforzava di non addormentarsi leggendo ad alta voce delle prodezze del Corsaro Nero e delle smargiassate di Carmaux.
Finalmente si decise che questa cultura religiosa, classica e avventurosa vicariamente impartita non poteva durate a lungo e si decise di affidarmi alle cure di «Donna Carmela», una maestra elementare di S. Margherita. Adesso le maestre elementari sono delle signorine vivaci, eleganti che ti parlano di metodi pedagogici di Pestalozzi e di James e che si fanno chiamare «professoresse». Nel 1905, e in Sicilia, una maestra elementare era una vecchietta più che a metà contadina, con la testa occhialuta racchiusa in uno scialle nero; viceversa essa sapeva insegnare alla perfezione: in due mesi sapevo leggere e scrivere, non avevo più dubbi circa le doppie consonanti e le sillabe accentate. Durante intere settimane, nella «stanza bleu» che dava sul secondo cortile, separata dalla mia «stanza rosa» soltanto da un corridoio, dovetti eseguire delle dettature sillabate, cioè «del-le det-ta-tu-re sil-la-ba-te» e ripetere diecine di volte «di, do, da, fo, fa, fu, qui e qua non prendono mai l’accento». Sante fatiche, del resto; mercé le quali non mi capiterà mai, come capita a un illustre senatore, di sorprendermi della frequenza dell’errore di stampa, nei giornali e nei manifesti, che fa scrivere «Reppubblica» con due B.
Quando ebbi appreso a scrivere l’italiano, mia Madre mi apprese a scrivere in francese: parlare lo parlavo già ed ero stato molte volte a Parigi, ed in Francia. Ma a leggere imparai a S. Margherita. Vedo ancora mia Madre seduta con me davanti a una scrivania scrivere lentamente e con grande chiarezza «le chien, le chat, le cheval» su una colonna di un quaderno con copertina azzurra lucida ed insegnarmi che «ch» in francese è «sc», come in italiano «scirocco e Sciacca», diceva lei.