Da «La scuola nemica»
– Non mi piaceva l’iscuola e neanche a istudiare
– Perché dunque non ti piaceva? Un motivo ci deve essere!
– Così… perché picchiavano…
– Come sarebbe?
– A colpi, mi… – e fa cenno con le mani
– Vuoi dire che ti picchiavano?
– Eh, se ti guardavano!
– Ah, ho capito, per scherzo, vero?
– Altro che ischerzo… davvero picchiavano!
– Perché?
– Perché no’ istudiavo.
– Beh, allora quando ti picchiavano, studiavi, vero?
– Di meno istudiavo, che mi dolevano i colpi.
– Ma dici sul serio o vuoi scherzare?
– Altro che ischerzo, vi ho detto che è davvero!
– Beh, qualche scappellotto, oddio, capita a tutti di darlo, se uno fa proprio da cattivo
– No’ è a scappellotti… allora li dolevano le mani.
– A chi facevano male le mani?
– E a chie? ai maestri che picchiavano!
– E allora?
– Co’ la bacchetta picchiavano… ehiò… altro che mani!
– Sei stato sempre con lo stesso maestro?
– No, tanti maestri e maestre.
– Erano più bravi i maestri o le maestre?
– I maestri di più davano, ma pure le maestre no’ brullavano.
– Perché, anche loro…
– Eh… perché avevano le mani secche… tutti picchiavano!
– Senti, un tuo maestro mi ha detto che quando si avvicinava, tu subito sollevavi il gomito come per difenderti, perché?
– Perché temevo! a forza di colpi… per forza, ohi…
– Tu cosa facevi, quando ti picchiavano?
– Eh, cosa facevo… niente facevo… me li prendevo e basta!
– Ma tu, per esempio, piangevi, oppure, gridavi, parlavi male al maestro?
– Eh, se ci provavo, me ne caricava di più.
– Ne hai mai parlato in casa, col babbo, con la mamma?
– Eh, così me ne davano anch’ essi!
[…]
– Un giorno ci ha caricati di compiti e poi… se n’è uscito a fuori a passeggiare co’ gli altri maestri e a noi ci ha lasciato a iscrivere i compiti. Prima istavamo zitti e nessuno parlava; a iscrivere istavamo, poi a piano a piano abbiamo parlato a forte. Allora uno grande ha detto: «A gliele buttiamo le bacchette dalla finestra?». E tutti hanno detto: «Sì, sì, subito». Allora uno ha detto a chi le buttava. Allora due o tre di buona volontà hanno preso le bacchette e le hanno buttate. Uno ha detto di prendere anche quelle di sotto alla lavagna, e allora hanno preso anche quelle e buttate anche quelle. Allora tutti a ridere e gridare, ché eravamo contenti, e allora uno è andato a vedere se si vedeva il maestro per no’ li prendere quando le buttavamo le bacchette, ma lui era nascosto dietro la porta e ascoltava, e allora come ha iscampiato [affacciato] la testa, toc, toc, toc, tre colpi alla sua testa che ha fatto il suono della tavola. E ha detto: «Ohi la testa. la faccia mi ha alluto!» [acceso] e tontona, tontona [barcollando] come poteva è andato al suo banco. Allora entra tutto gridando co’ la sua bacchetta che aveva picchiato in testa, ché l’aveva sempre in mano, e ha incominciato a dare a tutti., a chi veniva veniva, e noi a metterci dentro i banchi, e lui a picchiare e gridare: «Ve la passo io la voglia di giocare che avete, vedrete!». Poi ha guardato di sotto alla lavagna no’ c’erano bacchette e ha detto chi era stato, e nessuno diceva, ché tutti avevamo paura. Allora diceva: «Allora no’ volete parlare! Ma già vi faccio parlare io! ve lo faccio passare il gaddinzo! [pazzia]. Tutti le mani sui banchi» ha detto, e allora colpi a tutti come gli veniva. Poi ha chiamato uno e ha detto ha detto, se sapeva chi ha preso le bacchette, e quello che li voleva bene ha fatto la spia. E quelli dicevano di no e quello di sì. E allora il maestro, arrabbiato di più, ha picchiato a tutti, e ha detto che il macchine [pazzia] ce lo faceva passare, e poi di aprire il quaderno a righe e copiare fino a uscire la pagina del libro. «Avanti a copiare – ha detto – e se quarcuno gli esce parola gli tiro la lingua! Capito avete?». E noi ci siamo messi a scrivere come potevamo.