MARIO AVAGLIANO – MARCO PALMIERI Una strage anche fascista

Da «Le vite spezzate delle Fosse Ardeatine»

L’eccidio delle Fosse Ardeatine è rimasto nella memoria come una strage nazista, ma è anche italiana e fascista. Il massacro avviene in territorio formalmente sotto la giurisdizione della Rsi e la Questura di Roma partecipa attivamente alla selezione delle vittime, contribuendo a raggiungere il numero stabilito. Ma soprattutto oltre la meta vittime è arrestata da italiani, autonomamente o in collaborazione con i tedeschi come basisti, infiltrati, spie o esecutori materiali del fermo, anche grazie a una estesa rete di delatori prezzolati, pronti a “vendere” ebrei e patrioti (rispettivamente 104 arrestati in autonomia e 81 insieme ai tedeschi).

I tedeschi, del resto, hanno forze limitate e poco adatte a svolgere attività investigativa e repressiva su vasta scala, senza la collaborazione italiana. Per essere concretamente di supporto, a fine gennaio del 1944 la Rsi manda a Roma Pietro Caruso, quale nuovo questore con pieni poteri. Questi, già questore a Verona, si dota di un reparto speciale di polizia guidato dal tenente dei granatieri Pietro Koch, giunto nella capitale ai primi di dicembre da Firenze, dove aveva agito alle dipendenze del seniore della Milizia Mario Carita. “Il reparto”, come viene comunemente chiamato dai suoi componenti, o “banda Koch”, come è nota tra le vittime, per alcuni mesi insedia il suo quartier generale presso la pensione Oltremare in via Principe Amedeo, in seguito si sposta presso la pensione Jaccarino in via Romagna. È responsabile in particolare della cattura di molti esponenti del Pd’A e di Bandiera Rossa.

Gli arresti per mano italiana avvengono grazie a un apparato repressivo che ricorre a violenze e torture indicibili, per estorcere informazioni o per mero sadismo, e si avvale di una fitta rete di infiltrati, spie e delatori, tra cui ci sono anche compagni di partito, amici e familiari. Tra gli infiltrati più letali si distinguono Federico Scarpato detto Fritz, Franco Sabelli, Biagio Roddi, Francesco Argentino alias Walter Di Franco, Armando Testorio detto il Soldato, Ubaldo Cipolla, Alberto Pistolini, Gerardo Priori, Tino Tini, Luciana Ferrari, Riccardo Miliani e Claudio Antonini.

Altre forze che collaborano con i tedeschi alla repressione della Resistenza e alla cattura degli ebrei sono le bande al servizio di Kappler; come quella guidata da Giovanni Cialli Mezzaroma, responsabile della cattura di decine di ebrei, almeno 12 dei quali finiscono alle Fosse Ardeatine, con membri spietati come Luigi Roselli e Vincenzo Antonelli e con l’aiuto della nota spia ebrea Celeste Di Porto. Un’altra banda è guidata da Renato Ceccherelli, anch’essa protagonista della cattura di molti ebrei, 7 dei quali uccisi alle Fosse Ardeatine. Agli arresti e alla repressione partecipano attivamente anche i reparti della Pai (1) e della Gnr (2), che ha assorbito la Milizia e gli Uffici provinciali di investigazione.

Di contro, è stato già da più parti sottolineato quanto sia ingiusto e sbagliato il tentativo di attribuire la responsabilità della strage ai partigiani che hanno agito in via Rasella, secondo la tesi che le vittime – come scrive «L’Osservatore Romano» a commento del comunicato tedesco che a cose fatte annuncia la rappresaglia, contribuendo a spianare la strada alla successiva confusione di giudizio – sono state «sacrificate per i colpevoli fuggiti all’arresto». Anche i fascisti repubblicani dell’Urbe», del resto alimentano il paradosso diffondendo nei giorni successivi all’eccidio un volantino secondo il quale «i banditi comunisti dei gap avrebbero potuto evitare questa rappresaglia pur prevista dalle leggi di guerra se si fossero presentati alle autorità germaniche che avevano proclamato via radio e con manifesti su tutti i muri di Roma che la fucilazione degli ostaggi non sarebbe avvenuta se i colpevoli si fossero presentati per la giusta punizione» (3).

Gli autori dell’attacco di via Rasella in realtà non vengono nemmeno cercati, i manifesti e gli annunci sono un’invenzione e lo stesso Kappler nel processo a suo carico spiega che la rapidità dell’esecuzione della rappresaglia risponde a due ragioni: rispettare l’ordine di Hitler di agire con una reazione esemplare entro ventiquattr’ore ed evitare che la notizia di una imminente esecuzione in massa dei detenuti politici possa innescare un’insurrezione popolare in citta. E Kesselring il 15 novembre 1946, testimoniando al processo contro i generali Von Mackensen e Maltzer, ammette che non fu attivata alcuna procedura precedente la rappresaglia per fare appello alla popolazione o agli attentatori e non fu presentata alcuna richiesta ai partigiani di consegnarsi per evitare l’eccidio (4).

La strage delle Fosse Ardeatine, quindi, s’inserisce nell’articolato e sanguinario sistema d’occupazione nazista, coadiuvato e partecipato dai fascisti della Rsi, che, oltre ai deportati nei campi di concentramento e di sterminio per motivi politici e razziali e ai militari uccisi o internati dopo l’armistizio, costa la vita a più di 23 000 persone, tra cui molte donne e bambini, vittime inermi di atti violenti, stragi ed eccidi (5).

(1) Polizia dell’Africa italiana

(2) Guardia nazionale repubblicana

(3) Si veda A. Parisella, Via Rasella e le Fosse Ardeatine. Frammenti di conoscenza sparsi in più luoghi, in Glielmi e Rossi (a cura di), Archivio biografico virtuale delle vittime delle Fosse Ardeatine (ViBiA) etc., Vecchiarelli, Manziana 2018, p. 157.

(4) S. Portelli, L’ordine è già stato eseguito. Roma, le Fosse Ardeatine, la memoria, Donzelli, Roma 1999, p. 206.

(5) Dati dell’Atlante delle Stragi Naziste e Fasciste in Italia; cfr. G. Fulvetti e P. Pezzino, Zone di guerra, geografie di sangue. L’Atlante delle stragi naziste e fasciste (1943-1945), il Mulino, Bologna 2016

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