PIETRO VERRI È lecita la tortura?

Da «Osservazioni sulla tortura», 11

Mi rimane finalmente da provare che, quand’anche la tortura fosse un mezzo per iscoprire la verità dei delitti, sarebbe un mezzo intrinsecamente ingiusto. Credo assai facile il dimostrarlo. Comincierò con dire che le parole «sospetti, indizj, semi-prove, semiplene, quasi prove», ecc., e simili barbare distinzioni e sottigliezze non possono giammai mutare la natura delle cose. Possono elleno bensì spargere delle tenebre ed offuscare le menti incaute; ma debbesi sempre ridurre la questione a questo punto: o il delitto è certo, ovvero solamente probabile. Se è certo il delitto, i tormenti sono inutili e la tortura è superfluamente data, quando anche fosse un mezzo per rintracciare la verità, giacché presso di noi un reo si condanna, benché negativo. La tortura dunque in questo caso sarebbe ingiusta, perché non è giusta cosa il fare un male, e un male gravissimo, ad un uomo superfluamente. Se il delitto poi è solamente probabile, qualunque sia il vocabolo col quale i dottori distinguono il grado di probabilità difficile assai a misurarsi, è evidente che sarà possibile che il probabilmente reo in fatti sia innocente, allora è somma ingiustizia lo esporre a un sicuro scempio e ad un crudelissimo tormento un uomo, che forse è innocente; e il porre un uomo innocente fra quei strazj e miserie tanto più è ingiusto, quanto che fassi colla forza pubblica istessa confidata ai giudici per difendere l’innocente dagli oltraggi. La forza di quest’antichissimo ragionamento hanno cercato i partigiani della tortura di eluderla con varie cavillose distinzioni, le quali tutte si driducono a un sofisma, poiché fra l’essere e il non essere non vi è punto di mezzo e laddove il delitto cessa di essere certo, ivi precisamente comincia la possibilità della innocenza. Adunque l’uso della tortura è intrinsecamente ingiusto e non potrebbe adoprarsi, quand’anche fosse un mezzo per rinvenire la verità. Che si è detto mai delle leggi della Inquisizione, le quali permettevano che il padre potesse servire di accusatore contro il figlio, il marito con la moglie! L’umanità gemeva a tali oggetti, al natura riclamava i suoi sacri diritti; persone tanto vicine per i più angusti vincoli distruggersi vicendevolmente! La legge civile aborrisce siffatti accusatori, e li esclude. Mi sia ora lecito il chiedere se un uomo sia meno strettamente legato con se medesimo di quello che lo è col padre e colla moglie. Se è cosa ingiusta che un fratello accusi criminalmente l’altro, a più forte ragione sarà cosa ingiusta e contraria alla voce della natura che un uomo diventi accusatore di se stesso, e le due persone dell’accusatore e dell’accusato si confondano. La natura ha inserito nel cuore di ciascuno la legge primitiva della difesa di se medesimo: e l’offendere se stesso e l’accusare se stesso criminalmente è un eroismo, se è fatto spontaneamente, in alcuni casi, ovvero tirannia ingiustissima, se per forza di spasimi si voglia costringervi un uomo. L’evidenza di queste ragioni anche più si conoscerà riflettendo che iniquissima o obbrobriosissima sarebbe la legge che ordinasse agli avvocati criminali di tradire i loro clienti. Nessuno tiranno, che io sappia, ne pubblicò mai una simile; una tal legge romperebbe con vera infamia tutti i più sacri vincoli di natura. Ciò posto, chiederemo noi se l’avvocato sia più intimamente unito al cliente, di quello che lo è il cliente con se medesimo? Ora la tortura tende co’ spasimi a ridurre l’uomo a tradirsi, a rinunziare alla difesa propria, ad offendere, a perdere se stesso. Questo solo basta per far sentire, senza altre riflessioni, che la tortura è intrinsecamente un mezzo ingiusto per cercare la verità e che non sarebbe lecito usarlo quand’anche per lui si trovasse la verità.