[La nostra scuola, 18 luglio 2024]
La centralità del nulla
A sentire parlare di “centralità dello studente” potevamo illuderci che ci si fosse finalmente decisi a ridurre il numero degli studenti per classe e che gli “esperti” che parlano di scuola senza farla si fossero trasformati tutti in psicoterapeuti, capaci di comprendere le dinamiche profonde delle persone in crescita, comprese quelle che portano alla demotivazione scolastica (a che mi serve infatti “stare al centro” se chi ho di fronte – o forse sarebbe più corretto dire lungo la circonferenza – non capisce nulla di quello che provo e del perché lo provo?); così come, quando viene evocata la “evidence based education”, immagino degli scienziati che conducono dei rigorosissimi esperimenti, ovviamente ripetibili, in cui si tiene conto di tutte le possibili variabili che esistono in campo educativo.
Invece, a leggere certe slide deliranti dei corsi di “formazione”, ci si accorge subito del fatto che si tratta delle solite formulette che rimasticano sempre lo stesso niente, un niente che ha una remotissima origine in teorie pedagogiche decontestualizzate e ridotte a slogan aziendalistico, tic linguistici (superamento della didattica trasmissiva o frontale… staticità delle conoscenze… superamento delle discipline… competenze, skills, soft skills, life skills… apprendimento autonomo, stakeholders… learning to become, learning to be, lifelong learning…) che si trasmettono per contagio senza passare più per il pensiero. Diciamo che servono solo a perseguire certi scopi di smantellamento dell’istruzione pubblica, per mezzo del conformismo e dell’ubbidienza de-mente, a tagliare via ogni autentico contenuto culturale e a desertificare per via burocratica lo spazio della relazione umana.
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In aula insegnanti
Quando in aula insegnanti si (ri)comincerà a parlare di libri letti, di idee e di scoperte, di argomenti culturali significativi, della relazione con le classi e con i singoli studenti, di psicologia dell’età evolutiva e delle difficoltà dell’insegnamento – anziché essere costretti a un continuo e grottesco “dovresti compilare il PDP”, “hai riempito il modulo di educazione civica”?, “dove trovo il modello di verbale?”, “come si inserisce la programmazione nel registro elettronico?”, “mi mandi i tuoi programmi per la programmazione di classe?”, “a che punto sei con la relazione finale?”, “dovresti inserire i livelli nella certificazione delle competenze”, “avrei bisogno delle ore di PCTO per il documento del 15 maggio”… – vorrà dire che avremo risolto gran parte dei problemi della scuola.
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Un’innovazione decrepita
Perché il sistema scolastico possa evolvere in modo sano, bisognerebbe mantenere, adeguare ai tempi e rivitalizzare ciò che funziona – ad esempio l’importanza della relazione educativa e della passione conoscitiva – e abbandonare quello che palesemente non funziona. Già, ma se quello che non funziona (“autonomia scolastica”, aziendalizzazione, strapotere dei dirigenti e dell’apparato burocratico – sempre più incentrato su INDIRE e INVALSI -, “formazione” sul nulla, marginalizzazione dei concreti contenuti disciplinari, sostituzione della psicologia dell’età evolutiva con l’ideologia delle “skills”…) è diventato il centro di sistemi di potere e di enormi interessi economici privati, come quelli legati all’acquisto di strumenti digitali inutili e ad altissima obsolescenza, che succede? Abbiamo un organismo che è forzato a “scegliere” ciò che lo danneggia e che lo fa rapidamente invecchiare e morire.
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Aprire mondi
C’è una narrazione corrente che presenta la scuola come vecchia e arretrata rispetto a una realtà esterna (quella ad esempio della comunicazione social) che sarebbe dinamica e vitale. Non ci si rende conto del fatto che è quella realtà in cui i nostri studenti sono immersi, nella sua banalità e orizzontalità ripetitiva, a essere statica e volta soltanto alla riproduzione di se stessa; proprio la scuola invece può portare il nuovo nell’esperienza dei giovanissimi, perché quando fa la scuola – quando cioè apre a conoscenze inedite e impreviste e fa vivere relazioni altrettanto impreviste – è capace di muovere i pensieri, l’immaginazione, gli affetti e di dare loro nuova vita.
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Corridoi
Passo per i corridoi della mia scuola e dentro le aule, che hanno tutte le porte aperte, vedo ovunque colleghi impegnati a spiegare qualcosa ai propri studenti e a parlare con loro, in piedi, tra i banchi, seduti sulla cattedra o dal fondo della classe. Gli studenti a loro volta parlano, leggono, scrivono, guardano la Lim o gli schemi scritti a pennarello o col gesso sulla lavagna, hanno sguardi attenti, sono sereni e coinvolti in quello che si sta facendo. E si scherza spesso: c’è sempre qualcuno che sorride.
Non posso fare a meno di pensare che certi “esperti” in carriera che non hanno mai messo piede in un’aula o chi scrive sconclusionati documenti per conto di Fondazioni e Associazioni – per cui una lunare pedo-burocrazia fatta di ‘competenze’ e simili e un’astratta ‘innovazione’ imposta dall’alto dovrebbero rendere finalmente efficiente una scuola tradizionale e vecchia che esiste solo nelle loro fantasie – non sappiano bene di cosa parlano quando parlano di scuola, o non abbiano capito nulla di come funziona. Forse gli fa comodo non saperlo.