OVIDIO La ninfa Eco

Da «Metamorfosi», III, 356-369

Mentre spaventava i cervi per spingerli dentro le reti,
lo vide quella ninfa canora, che non sa tacere se parli,
ma nemmeno sa parlare per prima: Eco che ripete i suoni.
Allora aveva un corpo, non era voce soltanto; ma come ora,
benché loquace, non diversamente usava la sua bocca,
non riuscendo a rimandare di molte parole che le ultime.
Questo si doveva a Giunone, perché tutte le volte che avrebbe
potuto sorprendere sui monti le ninfe stese in braccio a Giove,
quella astutamente la tratteneva con lunghi discorsi
per dar modo alle ninfe di fuggire. Quando la dea se ne accorse:
«Di questa lingua che mi ha ingannato», disse, «potrai disporre
solo in parte: ridottissimo sarà l’uso che tu potrai farne».
E coi fatti confermò le minacce: solo a fine di un discorso
Eco duplica i suoni ripetendo le parole che ha udito.

Traduzione di Mario Ramous

Adspicit hunc trepidos agitantem in retia cervos
vocalis nymphe, quae nec reticere loquenti
nec prior ipsa loqui didicit, resonabilis Echo.
Corpus adhuc Echo, non vox erat et tamen usum
garrula non alium, quam nunc habet, oris habebat,
reddere de multis ut verba novissima posset.
fecerat hoc Iuno, quia, cum deprendere posset
sub Iove saepe suo nymphas in monte iacentis,
illa deam longo prudens sermone tenebat,
dum fugerent nymphae. postquam hoc Saturnia sensit,
‘huius’ ait ‘linguae, qua sum delusa, potestas
parva tibi dabitur vocisque brevissimus usus,
reque minas firmat. tantum haec in fine loquendi
ingeminat voces auditaque verba reportat.

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