L’espressione angloamericana politically correct (in ital. politicamente corretto) designa un orientamento ideologico e culturale di estremo rispetto verso tutti, nel quale cioè si evita ogni potenziale offesa verso determinate categorie di persone. Secondo tale orientamento, le opinioni che si esprimono devono apparire esenti, nella forma linguistica e nella sostanza, da pregiudizi razziali, etnici, religiosi, di genere, di età, di orientamento sessuale o relativi a disabilità fisiche o psichiche della persona.
L’attenzione a tali tematiche ebbe origine negli Stati Uniti d’America, da dove si diffuse nel resto del mondo occidentale. Nata negli ambienti della sinistra negli anni Trenta del Novecento, amplificata dai moti sessantottini e adottata dagli orientamenti liberali e radicali, essa assunse dimensioni significative sul finire degli anni Ottanta, quando diventò una corrente d’opinione basata sul riconoscimento dei diritti delle culture e mirante a sradicare dalle consuetudini linguistiche usi ritenuti offensivi nei confronti di qualsiasi minoranza (fu allora, ad es., che Afro-american sostituì black, nigger e negro per designare i neri d’America).
Per disciplinare il comportamento linguistico, anche in risposta all’intensificarsi di episodi di razzismo, furono stilati in università americane regolamenti di condotta verbale (i cosiddetti speech codes) volti a scoraggiare l’uso di epiteti ingiuriosi e offensivi.
Malgrado gli ideali egualitari e progressisti che lo hanno animato, il politically correct ha sollevato numerose polemiche. Lo si accusa infatti di conformismo linguistico e di tirannia ideologica che limita la libertà d’espressione. Si sostiene che, col pretesto di rivendicare ideali di giustizia sociale, il politicamente corretto si limita in realtà a intervenire sulla forma (ossia la lingua) piuttosto che sulla sostanza dei problemi, contribuendo ad alimentare una nuova ipocrisia istituzionale. Le scelte linguistiche imposte rappresentano spesso una versione nobilitata dell’eufemismo che tende a occultare contenuti sgradevoli; si vedano, ad es., in resoconti mediatici sulla guerra, le locuzioni danni collaterali (collateral damages) per «strage di civili», neutralizzare il nemico per «uccidere», guerra preventiva per «aggressione militare».
Da Enciclopedia Treccani, Enciclopedia dell’Italiano