Da «Il grande misfatto di Ripa Ticinese, 33», in «L’ultimo Picaro. L’uomo delle biciclette gialle»
[…] Ricordo
che allora si parlava di rivoluzione, ascoltavamo la
«Locomotiva» di Guccini, eravamo sempre pronti per
una occupazione; occupazione di casa, o se era il caso
di qualche stazione ferroviaria; ci felicitavamo per
qualche riuscita evasione. Ricordo che si sussurrava di
golpe e noi compagni giravamo per le strade
perfettamente mimetizzati col popolo, con le masse,
vestendo i nostri giacconi verdi ed eskimo così che
nessuno avrebbe potuto riconoscerci anche se il
nostro saluto d’obbligo era il pugno alzato, che come
ben sappiamo, è un gesto che passa quasi inosservato.
Ed eravamo contenti, così presi da quel grande gioco.
Eravamo felici. In attesa di grandi eventi.
Si urlava sempre «abbasso il padrone» ed io, ancora
oggi, e non pentito, penso ancora che avevamo
ragione.