Acqua alta

In certe sere d’inverno il mare, incalzato dal vento contrario di levante, riempie ogni canale come una vasca da bagno, fino all’orlo, e a volte trabocca. È un allagamento the non provoca le urla dell’inquilino del piano di sotto, perché non c’è un piano di sotto. La città si ritrova con l’acqua alle caviglie, e le imbarcazioni, «legate ai muri come animali» (per citare Cassiodoro), s’impennano. La scarpa del pellegrino, dopo essersi avventurata nell’acqua, si sta asciugando sul radiatore della sua camera d’albergo; il veneziano si tuffa nelle profondità del proprio armadio per pescare un paio di stivali di gomma. «Acqua alta» dice una voce alla radio, e il traffico umano ha una pausa. Le strade si vuotano, negozi, bar, ristoranti e trattorie chiudono i battenti. Soltanto le loro insegne restano accese, libere finalmente di esibirsi in un numero narcisistico, mentre il selciato ha la soddisfazione di mettersi alla pari, momentaneamente e superficialmente, con i canali. Le chiese invece rimangono aperte, ma quella di camminare sull’acqua non è una novità per il clero, né per i parrocchiani. E neanche per la musica, che è gemella dell’acqua.

Iosif Brodskij, Fondamenta degli incurabili

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