Da «La festa dell’insignificanza»
«Sentirsi o non sentirsi colpevole. Secondo me, il punto è questo. La vita è una lotta di tutti contro tutti. È risaputo. Ma in una società più o meno civile come si svolge questa lotta? Non possiamo scagliarci gli uni contro gli altri non appena ci vediamo. In compenso, cerchiamo di buttare addosso agli altri l’ignominia del senso di colpa. Vincerà chi riuscirà a fare dell’altro un colpevole. Perderà chi ammetterà di aver torto. Sei in strada, immerso nei tuoi pensieri. Una ragazza che viene verso di te come non ci fosse che lei al mondo, senza guardare né a destra né a sinistra, cammina dritta per la sua strada. Vi urtate. Ed ecco il momento della verità. Chi strapazzerà l’altro, e chi si scuserà? È una situazione tipo: in realtà ciascuno dei due è al tempo stesso l’urtato e l’urtatore. Eppure, ci sono quelli che si considerano, immediatamente, spontaneamente, gli urtatori e dunque i colpevoli. E ce ne sono altri che si vedono sempre, immediatamente, spontaneamente, come gli urtati, quindi dalla parte della ragione, pronti ad accusare l’altro e a farlo punire. Tu, in una situazione del genere, ti scuseresti o accuseresti?».
«Io di sicuro mi scuserei».
«Ah, poveretto, allora appartieni anche tu all’esercito dei chiediscusa. Pensi di poter ammansire l’altro con le tue scuse».
«Si, certo».
«E ti sbagli. Chi si scusa si dichiara colpevole. E se ti dichiari colpevole incoraggi l’altro a continuare a insultarti, a denunciarti, pubblicamente, fino alla morte. Sono le fatali conseguenze delle prime scuse».
«È vero. Non ci si deve scusare. Eppure, preferirei un mondo in cui tutti si scusassero, senza eccezione, inutilmente, esageratamente, per niente, in cui si profondessero in scuse…».