[Post su facebook, 8 dicembre 2023]
Il recente studio dell’Università Alma Mater, che segue il documento del 2017 firmato da 600 intellettuali sullo stato di salute della lingua italiana presso i nostri studenti, conferma soltanto quello che noi insegnanti d’italiano denunciamo da tempo: dietro lo slogan governativo di una scuola che naviga a vele spiegate verso il «progresso» grazie al «miracolo» del PNRR, c’è la vita vera della scuola: un preoccupante, spaventoso analfabetismo dei ragazzi che arrivano in prima superiore, spesso con presentazioni eccellenti formulate dalla scuola di base, ma che non corrispondono alla loro reale preparazione.
Non conoscono le strutture grammaticali e i processi di ragionamento logico che presiedono all’articolazione del linguaggio, non sanno costruire che piccole frasi, specchio della loro contingente e frenetica comunicazione in chat, hanno completamente rimosso il corsivo, non hanno parole per comprendere a fondo e formulare il pensiero complesso frutto di una riflessione sul mondo che li circonda e su sé stessi.
Per me l’antidoto c’è ed è molto semplice: tenere gli alunni in classe e ricominciare a spiegare la grammatica, farli cimentare nell’analisi logica, e poi studio delle coniugazioni verbali, lettura e scrittura a mano come pratiche quotidiane, cogliere ogni occasione per arricchire il povero, poverissimo vocabolario di cui dispongono, sfidare la loro impreparazione accostandoli alla complessità. E ancora, evitare la tentazione di ridurre il loro rapporto con la conoscenza a una batteria di test a crocette sul modello Invalsi, un’americanata che è mortificazione insopportabile della loro intelligenza. Abbiamo il dovere di proteggerli da tutte quelle attività (infinite dalla scuola dell’autonomia ad oggi) che riteniamo inutili e una perdita di tempo prezioso che li distoglie dal lavoro e dalla fatica, ingredienti indispensabili per crescere.
In fin dei conti il processo educativo è un atto d’Amore e, in quanto tale, passa necessariamente dal resistere alla seduzione del semplificare e compiacere a tutti i costi che sono, invece, vere e proprie strategie di marketing aziendale e dovremmo avere il coraggio di dire coralmente che non ci riguardano, che noi ci occupiamo d’altro, che il nostro ruolo non va confuso con altri.
Una vera «educazione democratica» non abbassa il livello culturale per arrivare a tutti, ma è in grado di far accedere tutti e ognuno alla complessità, perché, sì, il mondo è complesso e per affrontarlo servono a tutti strumenti complessi: la lingua madre è la radice di questa complessità, il passepartout che apre tutte le porte. Dal rigore che metteremo nel porgerla agli studenti dipenderà il resto del loro percorso di crescita. Ce l’hanno insegnato le nostre vecchie maestre che hanno allevato generazioni di uomini e donne. Io devo molto alla mia.